Nella giornata di ieri, secondo quanto riporta il Corriere Adriatico, sul lungomare di Porto d’Ascoli due bengalesi che vendono fiori sarebbero stati aggrediti da alcuni ragazzi. Prima lo scherno, poi le spinte ei calci: «Li hanno picchiati perché non conoscevano il Vangelo», hanno riferito al quotidiano i testimoni. Secondo gli stessi le forze dell’ordine sarebbe state avvertite, ma sia gli aggressori che le vittime sembrerebbero essersi dileguati in fretta.
È accaduto il 3 luglio, a meno di 48 ore dall’attentato che ha causato la morte di 20 persone – 9 italiani, 7 giapponesi, 3 bengalesi e un indiano – in Bangladesh, a Dacca; i terroristi, secondo il racconto dei sopravvissuti, hanno chiesto agli ostaggi di recitare dei versetti del Corano, torturando e uccidendo chi non ne è stato in grado.
Nulla conferma che l’aggressione sia una diretta conseguenza dell’attacco di Dacca, o meglio: una conseguenza diretta della copertura mediatica generata dall’attentato nella capitale del Bangladesh. Tuttavia, se guardiamo ai toni dell’informazione, una correlazione non ci stupirebbe.
La mattina di domenica, poche ore prima dell’aggressione, per esempio, usciva in edicola un articolo di Libero titolato “Paghiamo chi ci uccide”, nel quale si afferma: “Gli autori della strage in Bangladesh sovvenzionati anche dai bengalesi che vendono fiori e orologi sulle nostre spiagge e agli angoli delle strade”. All’interno dell’articolo viene ripetuto lo stesso concetto, senza che esso sia supportato da alcun dato o fatto. Una disinformazione pericolosa, che istiga all’odio verso una minoranza. Chissà se gli aggressori di Porta d’Ascoli si erano imbattuti in questa prima pagina, prima di attaccare i due venditori di fiori.
La risposta non la avremo mai, ma poco importa: questo articolo, come i tanti che fanno uso dello stesso linguaggio e delle stesse tecniche, è responsabile direttamente di questo atto di violenza. Lo è perché contribuisce alla creazione di quel clima di intolleranza nel quale l’odio è espresso attraverso una violenza che passa troppo spesso dalle parole ai fatti.
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