“Nello spazio secondo molti confuso, della cosiddetta ipermediatizzazione della vita quotidiana, elevato è il rischio di assuefarsi a quanto appare ovvio e perciò spesso considerato esistente, e di non vedere più gli effetti e le implicazioni che certi discorsi producono nei discorsi quotidiani e nello spazio politico contribuendo così a influenzare l’apparenza del reale”. Così scrivevamo M. Belluati, M. Bruno e io stessa, nell’introduzione al primo rapporto annuale dell’Associazione Carta di Roma “Notizie fuori dal ghetto ”.
Di questo ed altro si è discusso lunedì 28 aprile nel seminario organizzato all’interno del corso di Comunicazione e marketing sociale, in collaborazione con il Master di Giornalismo diretto daD. Donati. Il seminario ha presentato anche a Bologna il rapporto che l’Associazione Carta di Roma intende produrre ogni anno per condividere con i professionisti del mondo dei media, con gli studenti e con i cittadini tutti – autoctoni o di provenienza straniera – un’analisi di come e quanto la narrazione pubblica delle notizie includa responsabilità precise nel modo in cui si produce conoscenza circa i movimenti di persone che più o meno confusamente chiamiamo fenomeno migratorio.
Anna Meli (Associazione Carta di Roma), ha messo in luce gli importanti obiettivi con cui l’Ordine dei Giornalisti e la Federazione Nazionale della Stampa, insieme con altre associazioni interessate al tema, nel dicembre 2011 ha fatto nascere Carta di Roma “per dare attuazione al protocollo deontologico per una informazione corretta sui temi dell’immigrazione, siglato (…) nel giugno del 2008”. Marinella Belluati (Università di Torino), uno dei tre referenti della Rete Universitaria che collabora con l’Osservatorio Carta di Roma (a cui partecipa anche il nostro Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali), ha illustrato le difficoltà di analizzare un mondo giornalistico complesso, a prima vista alquanto impermeabile allo studio scientifico anche in ragione della molteplicità dei canali e delle organizzazioni che oggi lo caratterizzano. Ha quindi messo in luce le scelte metodologiche (frame analysis e analisi del discorso) che hanno reso possibile la realizzazione del primo monitoraggio.
Esso è costituito da: a) una “Fotografia” in cui si delinea un quadro dettagliato dell’agenda setting e delle modalità di rappresentazione nella prima pagina dei temi legati alla migrazione nel 2012; b) una disamina su alcuni focus tematici rilevati come importanti; c) un’analisi qualitativa di come siano stati trattati in televisione i temi delle donne migranti e delle cosiddette seconde generazioni.
I due giovani ricercatori che hanno effettuato la rilevazione a seguito di una procedura pubblica di selezione, Djordje Sredanovic e Gaia Farina (il caso vuole siano entrambi laureati della “vecchia” LS Compass, dopo la quale conseguirono un dottorato di ricerca in scienze sociali), hanno sintetizzato alcuni punti chiave emersi nell’analisi:
1. le notizie “migranti” appaiono ancora prevalentemente ghettizzate nella cronaca (spesso la “nera”), anche se se ne individua una tendenziale e progressiva diminuzione, a vantaggio di informazioni di tipo politico e conoscitivo; 2. una tendenza a trattare i migranti come “oggetto passivo” di fatti e accadimenti, più che come soggetti attivi di azioni ed esperienze; 3. la persistente rappresentazione mediatica dell’icona “sbarco” come evidente biasconoscitivo circa le modalità di arrivo dei migranti nel nostro paese; 4. una prevalenza di mestieri di cura inferiorizzati per le donne migranti (il fenomeno “badante”); 5. la tendenza a trattare in modo diverso – “culturalizzato” – i femminicidi di donne straniere; 6. l’avvio di un’accidentata ma nel complesso positiva attenzione verso le nuove generazioni, i figli dei migranti, che riescono talora a prendere voce in prima persona.
E’ seguito un dibattito quanto mai interessante che ha coinvolto anche gli altri due referenti universitari dell’Osservatorio (Marco Bruno, Università Roma “La Sapienza”, e me per il Dsps), il giornalista e docente del Master di Giornalismo Unibo Sergio Gessi, alcuni giornalisti intervenuti e gli studenti presenti, specie quelli di origine straniera.
Al centro: la complicata matassa che continua – nonostante tutto – a contrapporre la pratica giornalistica fatta di vincoli stringenti nella routine quotidiana, e l’aspirazione – talora definita “teorica” seppur ideale – ad una maggiore responsabilità ed accountability nei confronti dei cittadini, siano essi lettori, spettatori o oggetti di cronaca. Per dipanarla, iniziative comeCarta di Roma possono forse contribuire a far crescere concrete “grammatiche di azione” ) ispirate ad un giornalismo sempre più consapevole del suo ruolo pubblico (cfr. ad es. l’analisi di Cyril Lemieux, nel saggio “Sulla difficoltà dei giornalisti a rispettare la loro deontologia: una prospettiva sociologica”).
Pina Lalli
Questo articolo è apparso sul blog del corso di laurea magistrale in Scienze della Comunicazione Pubblica e Sociale dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna – COMPASSUNIBO
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