Sono loro i nuovi desaparecidos, le migliaia di profughi dei quali non si ha più traccia. Abbandonati nel deserto, inghiottiti dal Mediterraneo o scomparsi nel nulla dopo aver raggiunto l’Europa; le loro famiglie non avranno mai una risposta.
A denunciare la gravità della situazione è il comitato “Giustizia per i nuovi desaparecidos” che lancia, poco dopo l’inizio del semestre europeo italiano, un appello affinché queste morti non restino nell’ombra. «Proponiamo la convocazione di un tribunale internazionale di opinione che offra alle famiglie dei migranti scomparsi un’opportunità di testimonianza e rappresentanza; contribuisca ad accertare le responsabilità e le omissioni di individui, governi e organismi internazionali – si legge nel testo dell’appello – e fornisca uno strumento per l’avvio delle azioni avanti agli organi giurisdizionali nazionali, comunitari, europei e internazionali. Vogliamo ricostruire la verità, sanzionare i responsabili e rendere giustizia a vittime e famigliari».
Ricostruire la verità per cercare di porre un freno a un fenomeno che resta ignorato dall’opinione pubblica. Per questo l’appello del comitato è rivolto anche ai media: perché possano portare all’attenzione della gente la tragedia che si sta consumando. A ricordarlo è uno dei maggiori sostenitori di “Giustizia per i nuovi desaparecidos”, Enrico Calamai, diplomatico che negli anni trascorsi come vice-console a Buenos Aires, durante la dittatura, ha salvato centinaia di persone facendo ottenere loro asilo politico. Non è un caso, sottolinea, la scelta del termine desaparecidos, che indica un crimine preciso, quello della desaparecion, la sparizione sistematica di persone che avviene sotto agli occhi di tutti, senza che ve ne sia alcuna consapevolezza.
Alle stime approssimative dei decessi nel Mediterraneo, infatti, raramente si affianca la riflessione sulle altre scomparse che avvengono nel corso del lungo viaggio intrapreso dai richiedenti asilo. Sono tante le persone che vengono lasciate nel deserto, a morire di stenti, ma sono tanti anche coloro che, dopo aver varcato le frontiere europee, svaniscono nel nulla. Dove sia finito suo figlio se lo chiede Mehrzia Chargi, di origine tunisina. Non ha più sue notizie dal 2011, quando era riuscito ad arrivare a Lampedusa; a provarlo un’intervista fatta su un pullman in Italia. Dopo quel video più niente. La donna continua a lottare per scoprire la verità, ma la sua storia, come quella di tanti altri, non riesce a trovare spazio sulle testate italiane ed europee.
Anche Tsegehans Weldeslassie, rappresentante della comunità eritrea, arrivato in Italia sfidando il mare, nel 2009, descrive l’atteggiamento dei media: «Nessuno parla di ciò che accade nel mio paese, spiega perché la gente scappa dall’Eritrea – afferma Weldeslassie durante la presentazione dell’appello –Nessun giornalista mi ha neppure mai chiesto quale fosse stato il mio viaggio».
L’appello ha raccolto già oltre 130 firme, per maggiori informazioni o per sottoscriverlo è sufficiente inviare un’email all’indirizzo: nuovidesaparecidos@gmail.com
Qui il testo completo dell’appello: «Giustizia per i nuovi desaparecidos»
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