Gentile direttore,
a leggere l’articolo “Business del sesso. Le strade di Torino in mano a Tirana” (Massimiliano Peggio, La Stampa, martedì 23 ottobre 2012), si ha l’impressione che si sia individuata una nuova organizzazione mafiosa, – dedita al controllo della prostituzione e con pericolose ramificazioni internazionali, – denominata appunto “Tirana”. Tirana, proprio come l’omonima città, capitale dell’Albania. E gli “affiliati” di questa “organizzazione” si chiamerebbero, manco a dirlo, “albanesi”!
Personalmente appartengo al “Clan degli Albanesi” dalla nascita, come altre migliaia di persone arrivate a Torino soprattutto negli ultimi vent’anni. Prima di mettermi a scrivere ho fatto un giro di telefonate proprio tra di loro. Ed ho scoperto che di “pezzi” di città, in mano, ne hanno molti. C’è chi possiede un diploma del liceo scientifico, chi una laurea del Poli o dell’Università degli Studi, in molti una casa acquistata con un mutuo, tanti altri ancora un’impresa edile, regolarmente registrata presso la Camera di Commercio. Pensi che ne ho perfino trovato uno che possiede una vecchia foto ritraente la zia universitaria in Via della Rocca, negli anni trenta del secolo scorso, membro della nutrita comunità di studenti albanesi che già allora frequentavano gli atenei di Torino. Non ho però trovato nessuno che possedesse appezzamenti di suolo pubblico, marciapiedi o altro.
Sono dunque persuaso che quei quattro delinquenti di qui parla l’articolo, in quanto albanesi, non controllano proprio un bel niente! Sarà che i marciapiedi di cui parlate voi, di valore tale che farebbe invidia ai real estaters di Manhattan, li possiedono ad altro titolo, ad esempio come affiliati del “Clan del Crimine Organizzato”, realtà quanto mai multietnica e globalizzata.
Ironia a parte, a me sembra alquanto inopportuno etichettare con il nome della capitale del mio paese, – simbolo di identità per milioni di cittadini albanesi, di cui più di cinquecentomila residenti in Italia, – una o più bande di delinquenti, senz’altra patria che non quella della VERGOGNA.
Inopportuno, ad esempio, quanto lo sarebbe stato intitolare l’articolo dedicato allo scandalo “ndrangheta” a Chivasso, – apparso lo stesso giorno su La Stampa, – non “A Chivasso comandava la ’ndrangheta”, ma “A Chivasso comandava la Calabria”, e nel testo dello stesso articolo, invece di “La ’ndrangheta tende i suoi tentacoli anche nel torinese”, proporre ai lettori “i Calabresi tendono i loro tentacoli…”, identificando così, erroneamente, il fenomeno mafioso con il territorio d’origine e i suoi abitanti.
E se si giudica a dir poco scorretto alludere in TV, seppure ironicamente, che i napoletani si riconoscono dalla puzza, – argomento ampiamente trattato dal suo giornale proprio martedì 23 ottobre, chiedendosi peraltro se i torinesi sono razzisti – quanto lo sarà scrivere seriamente e a caratteri cubitali, sulle pagine di uno dei principali e più autorevoli quotidiani italiani, che “Tirana” e gli “albanesi” controllano il business del sesso!?
Benko Gjata
Corrispondente accreditato dell’Agenzia Telegrafica Albanese
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