Vogliamo che questo gruppo sia uno spazio sicuro dove condividere informazioni e pubblicare foto e screenshot dei segnali preoccupanti e dei casi di razzismo e xenofobia nei quali vi siete imbattuti dopo il risultato del referendum sull’Unione europea. Vi sollecitiamo a denunciare ogni caso al quale assistete alla polizia e a segnalare ogni post che istighi all’odio sui social media, affinché vengano rimossi. Sono tempi bui e pericolosi, ma speriamo di poter diffondere consapevolezza e di aiutarci l’un l’altro per sentirci al sicuro.
Queste le parole che danno il benvenuto a chi visita il gruppo Facebook “Worrying Signs“, che a poche ore dalla sua apertura raccoglie già oltre 6mila iscritti. Al suo interno un album raccoglie le segnalazioni e gli screenshot di contenuti che incitano all’odio, in netto aumento nel Regno Unito dopo l’annuncio del risultato del referendum in favore dell’uscita dall’Unione europea.
A dare il via a questa iniziativa tre donne, Sarah Childs, Natasha Blank e Yasmin Weaver. Childs, di fronte alla crescita del fenomeno e alle tante denunce sui social media, aveva subito realizzato un album contenente le segnalazioni: le condivisioni internazionali e i tanti messaggi privati ricevuti l’hanno spinta, con la collaborazione delle due amiche, a creare un vero e proprio gruppo per far emergere il problema in tutta la sua estensione.
Alcune segnalazioni di discorsi d’odio post-Brexit. Sono i social media in questi i giorni lo strumento attraverso il quale i cittadini combattono l’hate speech. Per ingrandire cliccare sull’immagine.
«Il web è uno strumento potentissimo per la controparola, per le segnalazioni, per il debunking; è estremamente forte nel contrastare l’hate speech, nel far circolare il bene. Quanto si sta verificando in queste ore è un esempio della forma in cui ciò può avvenire» spiega Giovanni Ziccardi, docente presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano e autore de “L’odio online”. I social media, quindi, come strumento che consente a chiunque disponga di una connessione di combattere l’hate speech, non solo di generarlo, come siamo spesso portati a pensare. «Oggi non si può combattere l’odio senza tecnologia. Occorrono l’educazione, il diritto con appositi interventi normativi, ma anche la tecnologia è un elemento fondamentale», prosegue Ziccardi.
Secondo l’organizzazione di attivisti britannici Far Right Watch le segnalazioni di episodi di razzismo e xenofobia sarebbero aumentate del 540% nelle 36 successive all’annuncio. Un dato non confermato dalle autorità, le quali tuttavia si trovano alle prese con numerosi casi, come quello che vede protagonista la cittadina di Huntington, dove a essere stata presa di mira è la comunità polacca: all’interno delle cassette della posta e nei luoghi pubblici sono stati trovati volantini con scritto “Basta carogne polacche” (nell’immagine in alto uno dei volantini – per approfondire il reportage di Alberto Simoni da Londra, per La Stampa: “L’ora della jihad bianca. A Londra i razzisti si scatenano”).
Sulla maglia di un cittadino britannico la scritta: “Sì! Abbiamo vinto! Ora mandateli indietro”.
«La diffusione dei messaggi d’odio non ha un andamento omogeneo: è a picchi, strettamente correlati a eventi politici e di cronaca – osserva Giovanni Ziccardi – Non è sorprendente che ora vi siano picchi in cui si registra 3, 4, 5 volte il livello d’odio che normalmente circola. Lo abbiamo visto quando c’è stata crisi rifugiati nei Balcani l’anno scorso e in Italia con il disegno di legge sulle unioni civili e durante le elezioni amministrative. Non è un fatto eccezionale che in un momento così critico si registri un picco di nazionalismo e odio». Gli studi realizzati sul fenomeno dei discorsi d’odio, rilevando l’andamento degli ultimi cinque anni hanno dimostrato anche come a questi picchi faccia seguito un ritorno alla normalità: «Si intensifica e aumenta per poi crollare improvvisamente o ridimensionarsi. È l’andamento fisiologico dell’odio online», aggiunge il docente dell’Università di Milano.
Tra i fattori che hanno condotto a un tale fervore, i cittadini del Regno Unito additano i toni della campagna elettorale in favore del “leave“, ossia dell’uscita dall’Unione europea. Quanto i messaggi dei politici e, più in generale, dei personaggi di pubblico rilievo, possono contribuire a “legittimare” la violenza verbale?
Il leader di Ukip, Nigel Farage, presenta una campagna per il referendum, in favore dell’uscita dall’Unione europea, che fa leva sull’arrivo di migranti e rifugiati.
Secondo Ziccardi il loro apporto in tale direzione è essenziale: «L’odio viene utilizzato come valuta, come moneta per diffondere insicurezza e raccogliere consensi». A essere davvero pericoloso, tuttavia, è l’odio che l’Unione europea descrive nelle sue ricerche come “cool“, quello subdolo e inaspettato, che si annida nelle parole e nei gesti di figure generalmente considerate moderate. «L’odio non è diffuso più solo nella parte estremista, ma lo si trova nell’intero arco politico, anche nei movimenti tendenzialmente più moderati. È usato strumentalmente, è una leva per portare voti: se con odio intendiamo il sentimento forte provato nei confronti di una persona, in questo caso non si tratta neppure di vero odio da parte di chi lo diffonde, perché è uno strumento». L’odio, oggi, è veicolato persino da coloro che si pongono in opposizione agli estremisti.
Non vi è quindi il rischio di una normalizzazione dell’odio? «Più che alla normalizzazione ciò ha portato alla tolleranza: se il cittadino sente o legge parole d’odio in continuazione vi si abitua e si alza l’asticella della tolleranza. Tuttavia il problema, quando si diventa più tolleranti, è tornare indietro. Quando si tratta di odio è facile abituarsi, mentre rieducare e riportare alla ragionevolezza e alla pacatezza è molto più complesso».
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