È in Italia da tredici mesi senza averne il diritto. E ci rimarrà almeno per altri tre anni e mezzo. Naturalmente a spese dello Stato, cioè nostre. Il motivo? La sua richiesta di asilo politico, inoltrata a maggio 2015, a ottobre era stata rifiutata. Lui però ha presentato ricorso, e il giudice si pronuncerà il 30 gennaio 2020.
È l’incipit di un articolo pubblicato ieri da Libero (il quale a sua volta riprende un pezzo del Giornale di Vicenza – 30 giugno): un giovane richiedente asilo nigeriano, arrivato a Lampedusa, presenta domanda d’asilo nel maggio 2015, per vederla respinta il successivo ottobre. Si sarebbe permesso – pensate! – di avanzare ricorso. E come se non bastasse la pronuncia arriverà nel 2020: sai che pacchia attenderla per cinque anni.
Tra informazioni imprecise e distorte, sono molti gli elementi contenuti ne “Il finto profugo fa ricorso: ce lo teniamo fino al 2020” che richiedono una replica. Procediamo per punti.
Il ragazzo (del quale nell’articolo si pubblica il nome per esteso, in palese violazione della Carta di Roma) ha presentato ricorso: è furbo. Come lui lo sono molti altri richiedenti asilo che ricorrono a quello che il giornalista ritiene essere un escamotage. O meglio, un “trucchetto”:
Il trucchetto di opporsi alla decisione della commissione territoriale pur sapendo di non avere la minima possibilità che il ricorso venga accolto è ormai una prassi: così facendo il migrante di turno riesce a rimanere nel nostro Paese mediamente altri due anni […] Quindi scatta l’assistenza legale gratuita e l’obbligo, da parte dello Stato, dell’accoglienza all’interno di una struttura che chiaramente deve provvedere al suo mantenimento.
Il diritto di asilo può essere effettivo solo se è garantito il diritto di agire in giudizio contro la decisione negativa della Commissione.
Ciò che l’autore ritiene essere un “trucchetto”, tuttavia, è un diritto.
«È del tutto assurdo definire “trucchetto” il normale esercizio di un diritto fondamentale – spiega Francesco Di Pietro, avvocato dell’Associazione studi giuridici per l’immigrazione – Il diritto alla difesa e al gratuito patrocinio sono diritti fondamentali garantiti a tutti (italiani e stranieri) dall’art. 24 della Costituzione italiana. Gli stessi diritti sono anche previsti dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea».
Inoltre, chiarisce l’Asgi, il diritto di asilo (art. 10 comma 3 della Costituzione italiana) può essere effettivo solo se è garantito il diritto di agire in giudizio contro la decisione negativa della Commissione.
Più che di “trucchetto”, insomma, sarebbe opportuno parlare di “esercizio di un diritto fondamentale”. Giusto un poco meno fuorviante.
Se c’è qualcosa che non va giù all’autore dell’articolo è che, una volta presentato il ricorso, al richiedente asilo non solo sia consentito di restare in Italia e di ottenere il patrocinio gratuito, ma che gli sia anche offerta la possibilità di vivere in un centro per richiedenti asilo.
“Sono in discussione beni fondamentali della persona, quali la vita, la sicurezza, l’incolumità, la libertà. È quindi logico che il ricorrente abbia diritto a permanere in Italia sino alla decisione definitiva del giudice”.
«Sono in discussione beni fondamentali della persona, quali la vita, la sicurezza, l’incolumità, la libertà – prosegue Di Pietro – È quindi logico che il ricorrente abbia diritto a permanere in Italia sino alla decisione definitiva del giudice: un’eventuale espulsione effettuata nelle more del processo comporterebbe una lesione dei detti beni».
E per quanto riguarda l’attesa dell’esito fino al 2020? Sembra, stando a quanto scrive il giornalista di Libero, che i tempi prolungati costituiscano un fattore positivo per il richiedente asilo, una sorta di lunga vacanza pagata dallo stato italiano.
«Il termine per la decisione di un ricorso in materia di protezione internazionale è di sei mesi (d.lgs 142/2015 ndr) – nota l’avvocato – Quasi mai viene osservato. Ma la lungaggine processuale è lungi dall’essere un vantaggio per il ricorrente, è l’esatto contrario: si protrae per il richiedente asilo quella situazione di incertezza sul proprio futuro, fonte di preoccupazione e di disagio. Si protrae la condizione di richiedente asilo: ossia un “limbo normativo” fatto di difficoltà burocratiche».
I problemi ai quali Di Pietro fa riferimento possono essere di diverso tipo; un esempio è quello dei Comuni che rifiutano l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, rendendo più difficoltoso l’inserimento lavorativo e l’accesso alla tutela sanitaria.
Basterebbe chiedere ai richiedenti asilo, in ogni caso, per scoprire che la lunga attesa più che come una vacanza è vista come un ostacolo: tra i motivi che più spesso causano proteste all’interno dei centri di accoglienza vi è proprio questo.
È la stessa procura di Vicenza a dichiarare che alla fine di tutto l’iter procedurale soltanto a un migrante su cinque viene riconosciuto lo status di rifugiato. Gli altri quattro quasi sempre spariscono. Diventano fantasmi. Di loro non si sa più nulla.
Se con “tutto l’iter” si intendono la domanda in prima istanza e il successivo ricorso nella zona di competenza della Commissione di Verona e Vicenza, ci chiediamo perché sia stato fornito come esempio questo dato. Forse perché il richiedente asilo nigeriano dopo aver abbandonato Sassari si è spostato a Vicenza?
Attenendoci al solo articolo, in realtà, non abbiamo alcuna indicazione relativa alla commissione presso la quale il ragazzo ha presentato domanda in prima istanza e poi il conseguente ricorso. L’unica informazione che abbiamo è che il giovane ha trascorso un periodo non precisato in una struttura d’accoglienza di Sassari; ciò potrebbe far presumere che la domanda sia stata presentata durante la fase di permanenza nel centro. O potrebbe non essere così. Quindi atteniamoci ai dati nazionali.
Nel 2016 (01/01-10/06) la Commissione di Verona/Vicenza ha esaminato 186 domande in prima istanza: il 27% è stato accolto, il 58% è stato respinto, l’1% ha avuto altro esito. Il 14% dei richiedenti – 26, meno di uno su cinque, è risultato irreperibile. A livello nazionale il 67% dei ricorsi giunti a termine (presentati dal 2014) è stato accolto.
Angelo Trovato, presidente della Commissione nazionale asilo, nel corso di un‘audizione, l’8 giugno, ha fornito cifre che riflettono una situazione ben diversa da quella descritta dall’autore del pezzo. «Dal 2014 sono stati presentati 34.085 ricorsi contro i dinieghi delle Commissioni territoriali; di questi ricorsi, ne sono già stati decisi dai giudici 5379 – aggiunge l’avvocato Asgi – Di tali decisioni, 3652 sono decisioni favorevoli di accoglimento dei ricorsi. Quindi il tasso di accoglimento dei ricorsi è del 67%».
L’affermazione del giornalista, secondo cui i ricorrenti non hanno “la minima possibilità che il ricorso venga accolto è ormai una prassi“, è dunque infondata.
Quegli stessi dati, inoltre, rivelano che solo metà dei richiedenti asilo la cui domanda è rigettata presenta ricorso, per poi ottenere in circa i due terzi dei casi il riconoscimento di una forma di protezione internazionale.
«Ciò significa che gran parte dei ricorsi sono fondati e conferma la validità di un sistema in cui viene garantito il diritto a ricorrere avverso la decisione della Commissione», conclude Francesco Di Pietro.
Ad oggi il mantenimento del giovane è già costato quasi 15 mila euro. Di qui al 30 gennaio 2020 ne costerà altri 45 mila circa.
Del calcolo fatto dall’autore in merito ai costi, qualcosa non torna. Sembra infatti corrispondere alla moltiplicazione dei famosi 35 euro giornalieri pro capite usati per la gestione dei servizi di accoglienza (per un approfondimento su tali costi clicca qui) per un numero approssimativo di giorni trascorsi finora in Italia (circa 13 mesi).
Eppure il giornalista è certo che il richiedente asilo “una volta sbarcato a Lampedusa, identificato, e portato a Sassari – dove è stato alloggiato in un appartamento gestito da una cooperativa – ha fatto perdere presto le proprie tracce”.
Se è vero che il giovane si è allontanato dal circuito di accoglienza (sulla complessità del fenomeno che vede molti richiedenti asilo fuori dal circuito di accoglienza rimandiamo al rapporto di Medici Senza Frontiere “Fuori campo”) perché è stato incluso anche questo periodo all’interno del conteggio? I 35 euro sono assegnati sulla base del numero di ospiti del centro. Niente ospite, niente 35 euro per i servizi che a lui andrebbero offerti.
L’accoglienza ha un costo medio di 35 euro pro-capite a giornata. Di questi solo 2,50 sono di “pocket money” (arrivano, cioè, al richiedente asilo). Il resto è utilizzato per la gestione e l’offerta di tutti i servizi.
Ci sembra, inoltre, che la confusione prevalga sulla logica. Da una parte l’autore contesta che al ricorrente sia offerta l’opportunità di usufruire di un centro di accoglienza, poiché ciò ha un costo. Dall’altra è altrettanto preoccupato per il fatto che lo stesso richiedente possa allontanarsi dal centro di accoglienza, smettendo di fatto di costituire un costo per la struttura, perché in tal caso sarebbe “anche libero di girare da una città all’altra senza il minimo controllo”.
Se non è giusto che lo Stato si faccia carico dei costi dell’accoglienza e non lo è neppure lasciare il ricorrente vivere al di fuori di un centro, quale sarebbe allora la soluzione? Trattenerlo forzatamente in una struttura, a spese proprie? Improponibile.
Il sistema di accoglienza in Italia è complesso: sono molte le criticità, così come non mancano le buone prassi. Una tale e disarmante superficialità, oltre a non aver alcun valore informativo, non è certo utile per la promozione di un dibattito costruttivo, che porti a dei veri cambiamenti in favore di tutte le parti coinvolte. Confonde e fa arrabbiare i lettori, questo sì. E inevitabilmente intacca la credibilità della categoria giornalistica.
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