Di Alessandro Lanni (@alessandrolanni)
Invisibile. La prima condizione in cui si trovano gli apolidi, individui senza patria e senza cittadinanza, è quella dell’invisibilità. Senza diritti, in primo luogo – ovviamente – quello a una cittadinanza – non ha accesso alla società e rimane intrappolato ai margini. Un’invisibilità anche ai media tanto poco se ne parla. Con queste 8 domande vogliamo portare alla luce una condizione di esclusione e di marginalità, che però coinvolge migliaia di persone in Italia e milioni nel mondo.
Un apolide (dal greco a-polis “senza città”) è un uomo o una donna che non possiede la cittadinanza di nessuno stato. Sono circa 10 milioni gli apolidi nel mondo (si tratta di una stima, non esiste una cifra esatta). Alcuni apolidi sono anche rifugiati, ma non tutti i rifugiati sono apolidi e molti apolidi non hanno mai attraversato una frontiera.
La condizione di apolidia non dipende da una scelta o dalla volontà dei singoli. Si è apolidi per una (o più) delle seguenti ragioni:
Proprio l’assenza di cittadinanza e la conseguente invisibilità giuridica rendono difficile il conteggio degli apolidi nel mondo. L’Unhcr stima che gli apolidi o coloro che sono a rischio di apolidia siano almeno 10 milioni. Dati affidabili esistono per 75 paesi nei quali oggi risiederebbero 3,2 milioni di apolidi (Global Trends 2016).
Le molte cause che possono costringere le persone in una condizione di apolidia fanno anche sì che ci siano apolidi in tutte le regioni del mondo. Secondo l’Unhcr, oggi i 10 paesi con più apolidi sono: Costa d’Avorio, Repubblica Domenicana, Iraq, Kuwait, Myanmar, Russia, Siria, Thailandia, Zimbabwe. Ma, per esempio, ci sono molti apolidi anche in tutti gli stati che non permettono alle madri di trasmettere paritariamente rispetto ai padri la propria nazionalità ai figli (nel caso in cui i padri siano sconosciuti o morti). Oppure in paesi nati dalla dissoluzione di altri stati, come l’Urss o la Jugoslavia.
La Convenzione sullo status degli apolidi è stata varata a New York il 28 settembre 1954 ed è la base per la protezione internazionale degli apolidi. In Italia è divenuta esecutiva il 1 febbraio in 1962 con la legge 306. Il 10 settembre 2015 il Parlamento italiano ha finalmente approvato in via definitiva la legge di adesione alla Convenzione sulla riduzione dell’apolidia del 1961.
Secondo le stime fornite da organizzazioni della società civile gli apolidi in Italia sarebbero tra i 3.000 e 15mila. Ma solo qualche centinaio ha oggi ricevuto dallo stato italiano lo status di “apolide”. Molti degli apolidi in Italia appartengono a quello che per antonomasia è il “popolo senza stato” ovvero i Rom.
Gli apolidi riconosciuti attraverso una procedura formale hanno diritto a un permesso di soggiorno, all’istruzione, alla sanità e alla pensione così come all’accesso all’impiego e al rilascio di un titolo di viaggio per apolidi. Questi diritti sono previsti dalla Convenzione del 1954 sullo status delle persone apolidi.
Molto diversa la situazione – si legge su Vice – per gli apolidi non riconosciuti. «Non avendo un permesso di soggiorno, gli sono garantiti solo il diritto all’assistenza sanitaria e, fino ai 18 anni, quello all’istruzione. I maggiorenni, invece, non possono iscriversi all’università, non possono affittare una casa e non possono ovviamente lavorare se non in nero».
L’Unhcr ha individuato 10 punti in un piano decennale (2014-2024) per porre fine all’apolidia nel mondo.
Ecco i punti:
L’immagine in evidenza è tratta dalla campagna “I BELONG” di Unchr
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