Si è da poco conclusa a Roma la decima edizione del Festival Sabir, nato nel 2014 ad un anno dalla strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013, e promosso da ARCI insieme a Caritas Italiana, ACLI e CGIL, con la collaborazione di ASGI, Carta di Roma, UCCA, ARCS, A Buon Diritto, UNIRE e Altreconomia.
“Mare nostrum” – locuzione latina, traduzione di “mare nostro”, utilizzata dagli antichi Romani per indicare il Mediterraneo – è la parola scelta per il 2014, dal nome dell’operazione lanciata dal governo italiano il 18 ottobre 2013, all’indomani del tragico naufragio di Lampedusa, conclusasi, un anno dopo, con il salvataggio di oltre 100mila persone. Dal 2013 a oggi sono oltre 30mila le persone che hanno perso la vita lungo la rotta del Mediterraneo centrale.
Dal 2014 a oggi sono altre le parole che descrivono e raccontano le migrazioni: «crisi migratoria» ripetuta 5.269 volte, «muro» 932 volte, «sicurezza» 840 volte, «invasione» 721 volte. La parola «aiuto» solo 21 volte in dieci anni di titoli sui principali quotidiani, la parola «solidarietà» 53 volte.
Il valore delle parole lo offrono il tempo, la riflessione, l’analisi degli eventi che accadono.
Un valore che ci è stato ricordato con i numeri: “da oltre 12 anni, il numero di persone sfollate forzatamente a causa di persecuzioni, conflitti, violenze, violazioni dei diritti umani ed eventi che turbano gravemente l’ordine pubblico continua a crescere, raggiungendo, secondo le stime, i 122,6 milioni entro la fine di giugno 2024; ciò rappresenta un aumento del 5%, o 5,3 milioni, rispetto alla fine del 2023”, come ci ricorda Federico Fossi di UNHCR. Una analisi che si è svolta grazie alle testimonianze dai luoghi di crisi e di conflitto, dal Libano al Venezuela, delle giornaliste Giulia Bosetti e Lucia Capuzzi. Una riflessione che è approdata a “Nord di Lampedusa”, alle storie di vita di Alex, Solomon, Fanus e Abraham che Vito Fiorino ha salvato dal naufragio undici anni fa.
“Le migrazioni hanno tanti volti e sono tutte persone”, ci hanno ricordato Saverio Tommasi e Francesco Malavolta in occasione della presentazione del libro “Troppo neri” e Alidad Shiri che, a distanza di un anno dal naufragio di Cutro, attende di conoscere la sorte del cugino disperso insieme ad altre decine di persone. Ci sono volti e sguardi di persone che Kouassi Mamadou, ispiratore del film “Io Capitano”, ha incontrato nel suo viaggio, dalla Costa d’Avorio, attraverso il deserto, la Libia, fino in Italia: volti di uomini e donne che sono portatori di sogni, di aspettative per migliorare le condizioni di vita e soprattutto di un diritto alla mobilità, come tutte e tutti noi.
Non sappiamo ancora cosa succederà alle 16 persone migranti che, due giorni fa, a bordo della nave Libra della Marina Militare, sono state destinate ai centri di accoglienza Schengjin e Gjiader in Albania. Sulla base dell’accordo siglato tra il governo italiano e quello albanese – che consente il trasferimento di persone salvate nel “mare nostrum” nei centri in Albania – è stato fatto uno screening alle persone, di nazionalità bengalese ed egiziana, per verificare il possesso dei requisiti, ovvero la provenienza da paesi sicuri, l’essere maschi e non vulnerabili. Come ci ricorda il documento di Asgi, “Eccezioni possibili da sollevare in procedura di frontiera”, occorrerà capire fino a che punto si può derogare al principio di sovranità nazionale per ragioni di necessità, detto altrimenti fino a che punto è legittimo, per un certo scopo, considerare sotto la giurisdizione italiana un territorio non italiano. Sarà fondamentale, afferma Giuseppe Giulietti, Coordinatore nazionale di Articolo 21, “illuminare i contesti, come strumento di denuncia e di conoscenza di luoghi altrimenti condannati al silenzio e alla disgregazione”.
“Persone, profughi, portatrici e portatori di diritti, all’indomani del 3 ottobre del 2013, è stata una rivoluzione quella avvenuta nel linguaggio giornalistico, che in quel momento si è affrancato dalla propaganda politica ed ha iniziato a capire che le parole fanno le cose, come dice il linguista, il filosofo inglese John Austin, le parole danno forma alle cose e possono cambiare la realtà”, come ha ricordato Valerio Cataldi, Presidente di Carta di Roma; porre al centro le voci dei protagonisti delle migrazioni, descrivere gli eventi in modo accurato e corretto, appartiene all’esercizio quotidiano della professione giornalistica nel rispetto della verità sostanziale dei fatti.
L’Associazione Carta di Roma ringrazia UNHCR, 8xMille della Chiesa Valdese, l’Ordine dei Giornalisti, Cospe, Articolo 21, i progetti Informa ed Effetto farfalla per il supporto alla realizzazione di incontri e formazioni.
Paola Barretta