Il blogger e documentarista è stato fermato lo scorso 9 aprile al confine tra Turchia e Siria dalle autorità di Ankara. Dal 18 è in sciopero della fame
AGGIORNAMENTO: oggi a Gabriele Del Grande è stata concessa (per la prima volta da quando il 9 aprile è stato arrestato) la possibilità di telefonare. Questo il messaggio di Del Grande, che la sua famiglia riferisce: “Sto parlando con quattro poliziotti che mi guardano e ascoltano. Mi hanno fermato al confine, e dopo avermi tenuto nel centro di identificazione e di espulsione di Hatay, sono stato trasferito a Mugla, sempre in un centro di identificazione ed espulsione, in isolamento. I miei documenti sono in regola, ma non mi è permesso di nominare un avvocato, né mi è dato sapere quando finirà questo fermo. Sto bene, non mi è stato torto un capello ma non posso telefonare, hanno sequestrato il mio telefono e le mie cose, sebbene non mi venga contestato nessun reato. La ragione del fermo è legata al contenuto del mio lavoro. Ho subito ripetuti interrogatori al riguardo. Ho potuto telefonare solo dopo giorni di protesta. Non mi è stato detto che le autorità italiane volevano mettersi in contatto con me. Da stasera entrerò in sciopero della fame e invito tutti a mobilitarsi per chiedere che vengano rispettati i miei diritti”.
Sono trascorsi 9 giorni dalla notizia del trattenimento di Gabriele Del Grande da parte delle autorità turche. Il giornalista si trovava in Turchia per realizzare il libro “Un partigiano mi disse”, progetto finanziato da una campagna di crowdfunding: un viaggio di 6 mesi attraverso Turchia, Libano, Siria, Iraq, Tunisia e Libia per raccontare la guerra scoppiata nel 2011 e la nascita di Daesh.
Del Grande da anni si dedica al tema delle migrazioni e delle morti di frontiera: è lui ad aver ideato e sviluppato nel 2006 Fortress Europe, osservatorio sulle vittime di frontiera. Una piattaforma divenuta punto di riferimento per organizzazioni e media e che ha contribuito a portare attenzione sulla tragedia che si consuma non solo nel Mediterraneo, ma lungo tutti i confini europei.
Il 2014 è l’anno di un altro successo importante: è co-regista del documentario “Io sto con la sposa”, nell’ambito del quale accompagna da Milano a Stoccolma un gruppo di 5 rifugiati palestinesi e siriani allestendo un falso corteo nuziale.
Ora un altro lavoro, finanziato dal basso, che lo dovrebbe portare nuovamente in Siria, dove è stato 5 volte dall’inizio del conflitto; un percorso, quello di “Un partigiano mi disse”, per dare risposte a tante domande, come scrive Del Grande: “Chi sono gli uomini e le donne che a migliaia si arruolano per difendere il Califfato? Chi sono i civili rimasti nelle loro città? Ma soprattutto: come si è arrivati a tutto questo?”.
«Quello che di grave poteva accadere in Turchia – dicono il segretario generale della Fnsi Raffaele Lorusso e il presidente Giuseppe Giulietti – era già accaduto prima delle elezioni, con l’arresto di migliaia di oppositori e la chiusura quasi totale di tutti i media non allineati. Nelle carceri restano oltre 100 cronisti in attesa di processi affidati ad una magistratura che ha già subito un pesante processo di epurazione. Da giorni, infine, Gabriele Del Grande si trova in stato di fermo, sempre in attesa di essere rilasciato».
La Farnesina, in una nota del 15 aprile, ha dichiarato: «In relazione alla vicenda di Gabriele Del Grande, fermato in Turchia perché si trovava in una zona del Paese in cui non è consentito l’accesso, si rende noto che le Autorità turche hanno assicurato che il connazionale sta bene».
Necessario, ora, tenere alta l’attenzione sulla vicenda, anche attraverso gli hashtag #FreeGabriele e #IoStoConGabriele che distinguono su Facebook e Twitter le voci di chi, ogni giorno, ne chiede la liberazione.
Comunque oggi so 5 giorni che Gabriele Del Grande sta sequestrato dallo stato turco senza parlare con un avvocato eh. #iostocongabriele pic.twitter.com/Nzv92avNBb
— zerocalcare (@zerocalcare) 14 aprile 2017