L’appello di don Virginio Colmegna su Redattore Sociale: “È un tema complesso da affrontare con serietà. Non strumentalizziamo le sofferenze dei profughi”
La scorsa settimana trovavamo in rassegna l’inappropriato editoriale “Centinaia di Kabobo liberi per le nostre strade”, pubblicato da Libero, che tratta il delicato tema della salute mentale di migranti e rifugiati in modo superficiale e strumentale. Lo avevamo commentato in “Etnopsichiatria. La differenza tra un articolo che allarma e uno che informa“, proponendo un articolo alternativo attraverso il quale informarsi realizzato tempo prima da Redattore Sociale.
Ci sembra opportuno rilanciare oggi un ulteriore contenuto diffuso dalla testata, nel quale è sottolineata la necessità di evitare allarmismi.
Migranti e salute mentale, “servizi di etnopsichiatria sotto pressione”
MILANO – La Casa della carità è uno dei pochi centri in Lombardia che accolgono richiedenti asilo con problemi di salute mentale. In due anni, da quanto è partito il progetto con il Comune di Milano nell’ambito della rete Sprar, ne sono passati una decina. Don Virginio Colmegna è però preoccupato, perché vede segnali di insofferenza verso la condizione di queste persone. «È una questione complessa e delicata, ma cruciale per il benessere di queste persone e per la coesione sociale dei nostri territori. Strumentalizzarla, come leggo su alcuni giornali, lanciando facili e infondati allarmismi è inaccettabile».
Il presidente della Casa della Carità lancia quindi un appello. «È una materia che va affrontata seriamente perché se, da un lato, è falso ritenere la maggioranza di queste persone socialmente pericolose, dall’altro, è certamente vero che una parte di loro ha problemi psichici, spesso amplificati dalle esperienze vissute durante il viaggio, che richiedono risposte di qualità. Per offrirle è necessaria innanzitutto una forte collaborazione tra tutti coloro che se ne occupano: istituzioni, terzo settore, operatori sanitari e, laddove necessario, magistratura e forze dell’ordine». Per il sacerdote ci vogliono “dialogo e coordinamento” per evitare abbandoni e rimpalli di responsabilità. «Se esiste una sofferenza, questa va presa in carico da un punto di vista sanitario. Non si può affrontarla con il solo intervento sociale, ma servono percorsi di cura in strutture adeguate».
Due sono i problemi – difficili – da affrontare subito. La burocrazia e la mancanza di struttura sanitarie adatte. Per quanto riguarda la burocrazia, «le domande di asilo vengono vagliate in tempi troppo lunghi, che diventano inaccettabili per persone così fragili». Bisogna tagliare i tempi di attesa. Inoltre, «i servizi di Etnopsichiatria (che si occupano dei cittadini stranieri) sono estremamente importanti – spiega don Virginio Colmegna – ma sono sottodimensionati e quindi sotto pressione, come nel caso dell’ospedale Niguarda di Milano. In Lombardia, servirebbe un maggiore impegno della Regione per arrivare ad avere un servizio di questo tipo in ogni Azienda socio sanitaria territoriale».
«A fronte di un quadro così complesso – prosegue don Colmegna – credo sia necessario un momento di confronto per dialogare insieme a tutti gli attori coinvolti, elaborando proposte concrete e contribuendo alla ricerca di risposte istituzionali rapide».
Don Colmegna lancia anche un messaggio di speranza. «Alla Casa della carità, accanto a persone con patologie gravi e difficili, abbiamo spesso accolto uomini e donne segnati da viaggi durissimi e fughe terribili, ma capaci di riprendersi in modo sorprendente. Queste storie ci insegnano che, mettendo in atto una seria presa in carico, si possono ottenere risultati molto positivi, si può garantire un vero benessere a queste persone e, al tempo stesso, metterle nelle condizioni di diventare delle risorse per le nostre comunità». (dp)