Discorsi d’odio: su Repubblica le osservazioni di Corrado Augias e Giovanni Maria Bellu
Rilanciamo di seguito la lettera, oggi su Repubblica, di Giovanni Maria Bellu, presidente dell’Associazione Carta di Roma e le osservazioni di Corrado Augias sulle responsabilità dei media nei discorsi d’odio.
I finti innocenti e i rassegnati
Caro Augias, Paolo Rumiz ha pubblicato giorni fa su Repubblica un intervento nel quale esortava a «Rompere il silenzio degli “innocenti” e trovare le parole giuste». Infatti si dovrebbe fare di più per fermare la diffusione dei discorsi d’odio – hate speech, in inglese. Ci sono tanti modi. È di pochi giorni fa la notizia che la Lego danese ha deciso di togliere la sua pubblicità dal tabloid britannico DailyMail, in prima fila negli attacchi agli immigrati nel Regno Unito. Ed è in atto, sempre in Gran Bretagna, la campagna del sito “Stop Funding Hate” che ha invitato tutte le aziende a fare altrettanto nei confronti dei media che propagano l’odio, la discriminazione razziale, la xenofobia. L’estate scorsa un’altra campagna, rivolta a tutto il mondo dell’informazione, è stata lanciata dall’Associazione Carta di Roma, da Articolo 21 e dal Sindacato europeo dei giornalisti per invitare gli operatori dei media a bloccare i dispensatori d’odio nel web. Si può fare moltissimo per opporsi alla ‘liquidazione’ della misericordia. Segnalare gli hate speech – per esempio quello di chi travestì da “opinione” gli insulti razzisti alla ministra Cécile Kyenge, o di chi titolò “Bastardi islamici” dopo gli attentati di Parigi. È un dovere professionale di chi fa informazione. Ed è anche l’ora di smetterla di “porgere l’altra guancia”. Chi dispensa odio non sta esercitando il diritto alla libera manifestazione del pensiero. Proprio per questo direttori, giornalisti ed editori dovrebbero applicare misure idonee a eliminare tempestivamente i commenti d’odio e bannare i loro autori.
Giovanni Maria Bellu – Presidente dell’Associazione Carta di Roma
Nel suo intervento, Rumiz riferiva questo episodio: fermo a un semaforo a Trieste, ha visto una famigliola di profughi, forse siriani, che attraversava la strada. Mamma, papà, due bimbi di circa tre e cinque anni, una valigetta e uno zaino. Gente distinta, signorile. Sono diretti alla stazione. Prosegue: «Ma ecco, accanto a me, arrivare un’utilitaria con una bionda e il suo moroso al volante. Il quale, in un raptus improvviso, abbassa il finestrino e urla: «Stronzi! Non avete capito che non vi vuole nessuno?». Bersaglio facile: i fuggiaschi non reagiscono. Poi si gira verso la ragazza in cerca di un’approvazione. Lei esulta. «Ah, che uomo». Rumiz si guarda intorno. Un passante ride ma la maggioranza tira via. Non finisce qui. Al semaforo successivo il nostro s’affianca all’auto e grida alla giuliva biondina: «Mi scusi, dica a quel signore che preghi Iddio di non provare mai una guerra in vita sua e di non avere cinque minuti di tempo per mettere le sue cose in una valigia prima di scappare. E soprattutto di non sentire mai urla come le sue. Buongiorno». I due, conclude, restano senza parole, forse stupiti dalla determinazione di uno con la barba bianca. I vecchi media hanno certo le loro responsabilità, la Rete non ne parliamo: l’odio di imbecilli quasi sempre anonimi vi ha dimora fissa e dilaga. Ma quanti tra noi finti innocenti, compreso chi scrive, china la testa e guarda altrove perché ha paura – o forse peggio: perché è già rassegnato.
Corrado Augias