di Valerio Cataldi, presidente Associazione Carta di Roma
La prima pagina di Libero non vogliamo postarla. Non è un giornale, è pura propaganda, il manifesto della politica che odia, che distorce la realtà, che urla con il solo scopo di alimentare la paura, di stimolare la rabbia.
Quel manifesto politico oggi fa un salto carpiato e dopo averci detto per anni che la Libia era un porto sicuro dove riportare le persone in fuga nel Mediterraneo, scopre che c’è la guerra. Ammette che c’è la guerra e scopre anche che la guerra costringe le persone a scappare. Ci dice che la guerra in Libia ha fatto 16 mila profughi, ma aggiunge, con un plurale che pretende di rappresentare tutti noi, che “non li vogliamo lo stesso”. Ci propina la logica bugiarda dell'”abbiamo già dato”, quella che non vuole fare i conti, parla di invasione e finge di non accorgersi che gli arrivi degli ultimi 5 anni non potrebbero riempire neanche piazza San Giovanni a Roma.
Oggi Libero rivela ancora una volta la sua natura di megafono propagandistico di quella politica che giorno dopo giorno attacca la Costituzione antirazzista e antifascista. E lo fa, non a caso, alla vigilia del 25 aprile, la festa della Liberazione dal nazifascismo. Cosa ha a che fare tutto questo con il giornalismo? Cosa ha a che fare con il principio cardine del mestiere di giornalista ovvero la ricerca della verità sostanziale dei fatti?
Fino ad oggi la macchina della paura innescava la miccia a ridosso dell’estate, annunciava l’arrivo imminente di “migliaia di profughi” pronti a partire dalle coste della Libia e dava il via alla conta quotidiana degli arrivi, lo stillicidio di sbarchi capace di provocare ansia e paura. Oggi che comanda la politica dei porti chiusi, fa esattamente lo stesso. Annuncia l’arrivo, l’invasione di 16 mila disperati. Ma nei fatti l’invasione non ci sarà come non c’è mai stata. L’invasione è sempre stata solo uno stato d’animo indotto dai messaggi distorti della politica che, di fatto, non ha mai voluto gestire l’accoglienza, con una distribuzione razionale delle presenze, l’investimento nella scolarizzazione, nella formazione di forza lavoro che tra l’altro, in effetti, è necessaria. Il modello del nord Europa del welfare capace di ragionare egoisticamente pensando al proprio vantaggio, ovvero rendere produttivi i migranti, i rifugiati ed i richiedenti asilo non è stato imitato. La logica è sempre stata solo quella dell’emergenza. Si lanciava l’allarme per gli arrivi e nessuno si preoccupava di usare i soldi degli italiani e degli europei, per organizzare razionalmente un fenomeno strutturale.
La paura è il solo prodotto doc di questo paese sul tema migrazioni. È un progetto politico molto preciso che ha bisogno dei suoi manifesti, delle sue veline. Ha bisogno della sua propaganda, prodotta e diffusa dagli spaventatori che con il giornalismo non hanno nulla a che fare. Che non dovrebbero trovare spazio e legittimazione nell’Ordine dei giornalisti e negli istituti che rappresentano il mestiere di giornalista.
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