Uno studio ha analizzato 292 quotidiani online a livello globale. Al terrorismo dedicato il 30% della copertura totale, mentre le storie di sofferenza dei civili ricevono poca attenzione
Stampa polarizzata sul racconto della guerra in Siria: secondo uno studio condotto dall’organizzazione finlandese Felm, le testate giornalistiche nella copertura mediatica del conflitto scoppiato nel 2011 sarebbero fortemente influenzate dalle posizioni geopolitiche dei paesi di appartenenza, con posizioni divise. Il racconto, inoltre, si soffermerebbe sulla cronaca degli atti terroristici, tralasciando la contestualizzazione e dimenticando quasi del tutto argomenti quali la condizione femminile in tale contesto, gli aiuti umanitari, la promozione di un percorso di conciliazione.
«La polarizzazione delle notizie ha posto i siriani e la comunità internazionale in una posizione riduttiva, a favore o contro il regime, in cui il discorso diventa più radicale perché gli stessi giornalisti prendono l’una o l’altra parte», ha osservato in occasione di un evento organizzato dalla European Federation of Journalists a Bruxelles Aziz Hallaj, coordinatore della Syria Initiative presso Felm commentando la ricerca “Syria in Global Media”, nella quale sono stati analizzati i contenuti prodotti nell’arco di circa un anno da 292 periodici e quotidiani online in lingua inglese. «Questa condizione riduttiva ha portato anche alla mancanza di copertura relativa alle minoranze», ha aggiunto Hallaj, puntualizzando che tale tendenza ha portato a dare ampio spazio alla violenza e al terrorismo, a discapito di storie individuali e più umane.
Inoltre i media siriani (sia lealisti che oppositori) hanno raramente raggiunto un pubblico oltre i confini siriani, allontanando ulteriormente il dibattito pubblico promosso dai media internazionali, rispetto a quello condotto dai siriani.
Riflettori su Daesh, non sulle sofferenze dei civili
Nel periodo di analisi le notizie relative al terrorismo e in particolar modo alle attività di Daesh sono state protagoniste, rappresentando il 30% della copertura mediatica della guerra in Siria. Considerando anche le notizie di cronaca relative all’avanzamento del conflitto si raggiunge il 46%.
La visibilità della guerra in Siria sui media del campione è accresciuta notevolmente con l’intervento russo nel paese: sia i media occidentali che quelli russi hanno seguito costantemente la campagna militare avviata dal Cremlino.
Tale attenzione di massa, evidenzia Felm, non è stata dedicata alle storie dei civili (in particolare della condizione delle donne si parla solo nell’1% due contenuti esaminati, aggiungendo i contenuti focalizzati sui bambini si arriva al 3%), degli sforzi compiuti dalle organizzazioni umanitarie (2%). La copertura della promozione del processo di pace è variata durante l’arco temporale esaminato, passando da un 3% iniziale (marzo-settembre 2015) all’11% registrato in corrispondenza degli incontri di Vienna e dei negoziati di Ginevra (ottobre 2015-febbraio 2016).
Affinché i media iniziassero a parlare ampiamente dei rifugiati generati dal conflitto si è dovuto attendere l’agosto 2015, quando la cosiddetta “crisi rifugiati” ha toccato l’Europa e si è passati dal 7% al 23% di contenuti su questo tema. Dopo tale picco di attenzione la copertura è poi calata nuovamente fino a rappresentare l’11%.
Il dibattito sui social media si concentra sul terrorismo
La ricerca ha analizzato anche 6 milioni di post in inglese pubblicati su Twitter e Facebook: è il terrorismo l’argomento che ha generato più interazioni, con oltre 300mila menzioni nel periodo d’analisi.
La campagna militare russa in Siria, così come gli attentati di Parigi hanno accresciuto l’attenzione sul conflitto. Trovano maggiore spazio, rispetto a quello ritagliato sui quotidiani e i periodici online, i post sugli sforzi delle organizzazioni umanitarie e sui rifugiati, pur restando marginali
I contenuti sui social media appaiono ancor più polarizzati che sulla stampa digitale, con gruppi dalla chiara agenda politica che pubblicano sistematicamente post in grado di riflettere una determinata e chiara posizione. L’attendibilità dei contenuti è spesso discutibile, a causa della loro forte ideologizzazione.
Su Twitter i principali account che pubblicano contenuti sulla Siria sono risultati essere, secondo lo studio, anti-regime.