«Nel quadro restituito dall’analisi su articoli e servizi si conferma la necessità di un sistema di informazione che segua percorsi autonomi, che vada a fondo nelle notizie, che fornisca ai cittadini un quadro completo dei problemi in modo che possano formarsi un giudizio. Non ‘produciamo’ hate speech e, nella generalità dei casi, evitiamo di diventarne veicolo. Tuttavia dovremmo riflettere sul fatto che l’hate speech, quello che dilaga nei social network, trova alimento nella cattiva informazione. Ed è questa la ragione per cui non possiamo sentirci innocenti», ribadisce Giovanni Maria Bellu, presidente dell’Associazione Carta di Roma, in occasione della presentazione avvenuta oggi alla Camera dei deputati di “Notizie oltre i muri” – IV Rapporto Carta di Roma, curato dall’Osservatorio di Pavia in collaborazione con l’Osservatorio europeo per la sicurezza.
Nel 2016 la presenza delle notizie in prima pagina sui quotidiani è stata ancora alta: con 1.622 notizie dedicate al tema dell’immigrazione è stato registrato un ulteriore aumento degli articoli in prima pagina sui quotidiani esaminati, mentre nei telegiornali la visibilità̀ del fenomeno migratorio si è attestata su 2.954 notizie in 10 mesi con un calo del 26% rispetto al 2015.
«Il 2016 appare, dunque, come l’anno della “metabolizzazione” del fenomeno migratorio” – spiega Paola Barretta, Senior Media Analyst dell’Osservatorio di Pavia – con una netta presenza sulle prime pagine dei quotidiani o nelle agende dei notiziari, senza i picchi e i “record” di visibilità̀ dell’anno precedente. Un fenomeno continuamente visibile e in 1 caso su 2 associato alla politica».
Quest’anno, infatti, è la politica la protagonista del racconto mediatico del fenomeno migratorio. Esponenti politici istituzionali italiani sono intervenuti in voce nei telegiornali di prima serata nel 33% dei servizi sull’immigrazione, mentre gli interventi degli esponenti politici e istituzionali dell’Unione europea e degli stati europei sono pari al 23%: sommando le due tipologie arriviamo a calcolare che in 1 servizio su 2 il dibattito sull’immigrazione è animato da politici.
La voce di immigrati, migranti e rifugiati viene invece data solo nel 3% dei servizi e spesso in cornici narrative e contesti tematici negativi. Un dato ancora più negativo rispetto al 2015, quando erano presenti nel 6% dei servizi.
«I rifugiati sono trattati dai media come spettatori che assistono passivamente a ciò che accade, non come protagonisti, attori – afferma Maria Cuffaro, giornalista Rai – Noi non diamo loro voce: sono trattati come una categoria, mentre lo status di rifugiato è in realtà una condizione. Manca una sistematizzazione dell’informazione, andiamo avanti per inerzia. Come giornalisti dovremmo fermarci a pensare in modo critico al nostro ruolo di mediatori dell’informazione: dovremmo dare agli ascoltatori gli strumenti per compiere scelte consapevoli».
Allarmismo in calo, ma non nella cronaca nera
Nel 2016 è stato registrato un calo della componente allarmistica, che si può spiegare in ragione dell’ampia visibilità che hanno avuto le dimensioni della politica e della gestione europea e nazionale dell’accoglienza.
Permangono tuttavia toni ansiogeni nella cronaca nera e sul rischio di attentati di matrice jihadista: è soprattutto questa seconda dimensione quella che evoca maggiore insicurezza, sia per la presunta presenza sul nostro territorio di migranti potenzialmente appartenenti a reti estremiste sia per il rischio di infiltrazioni terroristiche tra i rifugiati in arrivo sulle nostre coste.
«Naturalmente, non possiamo sentirci sollevati se – e perché – l’immigrazione viene utilizzata e amplificata di meno, sui media. Per assuefazione. Perché viene strumentalizzata da un soggetto ancor più impopolare e inquietante come la “politica politicante” – commenta Ilvo Diamanti, professore di Analisi dell’Opinione pubblica all’Università di Urbino e direttore scientifico di Demos – Va sottolineato, ancora, come, a differenza del passato, il rapporto fra immigrati e insicurezza sisia, in parte, rovesciato nella narrazione mediale. In quanto, spesso, i media si sono occupati e si occupano degli immigrati non come autori, ma come vittime di violenze e discriminazioni».
Nei quotidiani più della metà dei titoli nel corso dell’anno ha riguardato muri e frontiere (57%) mentre la restante parte di titoli/notizie (il 43%) è la cronaca degli sbarchi e delle tragedie del mare, raccontate nella loro crudezza e sofferenza insieme. Gli sbarchi diventano normali ma non lo è quello che accade un attimo dopo. Poco e nulla viene raccontato di ciò che accade prima che migranti e rifugiati mettano piede in Italia e, in generale, in Europa: i paesi di transito e origine dei flussi sono spesso dimenticati.
Infatti, pur essendo di nuovo l’accoglienza (con il 34%) il tema attorno al quale ruota la maggior parte della comunicazione sull’immigrazione, è diminuito rispetto al 2015 di oltre 20 punti percentuali. Tra le questioni assenti, oltre a quella del post-accoglienza e dell’integrazione, vi è anche quella dei corridoi umanitari.
Tra gli eventi più importanti del 2016 rientra il referendum sulla Brexit. In media in tutti i telegiornali, in 3 servizi su 10 (nella settimana a cavallo del voto) è presente una associazione tra le ragioni e/o gli effetti della Brexit e il fenomeno migratorio. Questo binomio (immigrazione-Brexit) incrementa la propria visibilità dopo l’uccisione, il 17 giugno, della deputata laburista Jo Cox, ad opera di un sostenitore dei neonazisti, in tutti i telegiornali europei e specialmente in quelli inglesi.
In Italia, il 6 luglio 2016 Emmanuel Chidi Nnamdi, nigeriano di 36 anni, muore in ospedale dopo essere stato picchiato violentemente da Amedeo Mancini, quarantenne ultrà della squadra locale di calcio. Le istituzioni si stringono compatte attorno alla vedova di Emmanuel condannando nettamente la matrice razzista; allo stesso tempo, però, il fatto di cronaca nera diventa tema politico e iniziano le prime schermaglie, fra opinioni divergenti su razzismo, politiche di immigrazione, discorsi di odio.
«Il Guardian ha definito la nostra era come quella della rabbia e le bufale online lucrano proprio sull’odio. Le vittime dell’odio sono coloro che hanno meno strumenti per difendersi, è per questo che in Parlamento europeo ci siamo soffermati sull’hate speech, l’illecito incitamento all’odio online», così Cécile Kyenge, parlamentare europea, ribadisce che «le Istituzioni e la società civile debbono lavorare insieme. Dobbiamo pensare che ci troviamo in momenti difficili per chi produce informazione perché il fruitore ne è inondato. Due fattori influenzano i media: arrivare per primi e raccontare verità. I media si concentrano troppo sul primo, a discapito di ricerca e racconto della verità, che dovrebbe essere primo obiettivo di stampa in un paese libero e democratico. I cittadini chiedono sempre di più informazioni verificate e approfondite. Mantenendo fermo il punto della libertà d’espressione dobbiamo capire quando esso diventa violenza».
Dunque, nonostante la legislazione contro l’hate speech e le norme di autoregolamentazione delle piattaforme social, si assiste alla proliferazione di linguaggi profondamente intolleranti a contorno di una vicenda drammatica.
La tematizzazione politica, però, prolifera mescolando cronaca nera, disagio sociale, visioni politiche fino a sfociare nei social media in un violento scontro ideologico fra accuse di razzismo da una parte ed eccesso di buonismo verso gli immigrati dall’altra.
«La stampa ha avuto un ruolo importante nella Wilkommenskultur, nella la “cultura del benvenuto” tedesca – racconta Karl Hoffmann, corrispondente del servizio pubblico radiotelevisivo ARD, comparando la situazione italiana a quella tedesca – Nel 2015 “rifugiati” era stata scelta dalla società della lingua tedesca come parola dell’anno: aveva un’accezione positiva, legata all’accoglienza e all’empatiaCon i fatti di Colonia c’è stato un cambiamento: attraverso i social sono stati diffusi paura e odio e con essi la percezione che la stampa fosse di parte. Nella classe media si è radicata la convinzione che i media fossero semplici portavoce del governo, parallelamente sempre più gente si affida ai social media per cercare informazioni».
Su Twitter si assiste a una sguaiata deumanizzazione del linguaggio: compaiono insulti razzisti e sessisti violentissimi, si estremizzano opinioni in un conflitto virtuale fra parti avverse, abbandonando ogni remora di giudizio. È sui social che il dialogo sfocia in conflitto verbale aperto. Così le vittime diventano carnefici, le violenze vengono giustificate come atti di legittima difesa. Singoli atti e singoli responsabili diventano simboli estesi e generalizzati a interi gruppi. Intere categorie. Profughi, africani, nigeriani e, infine, gli immigrati tutti. Stigmatizzati senza distinzione.
Per il quarto Rapporto Carta di Roma, “Notizie oltre i muri” clicca qui.
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