di Associazione Carta di Roma
Oggi la Repubblica esce con il termine clandestino in prima pagina: “in tre mesi oltre 12 mila clandestini in più”. È un titolo che vuole spiegare che le azioni del ministro dell’interno hanno l’effetto contrario a ciò che la sua propaganda rilancia continuamente. Critica il governo usando lo stesso linguaggio del governo ma, sul piano della comunicazione, impiega lo stesso lessico.
Perché contiene un giudizio negativo aprioristico, suggerisce l’idea che il migrante agisca al buio, di nascosto, come un malfattore. È un termine giuridicamente sbagliato per definire chi tenta di raggiungere l’Europa e non ha ancora avuto la possibilità di fare richiesta di protezione internazionale, e chi invece ha fatto la richiesta ed è in attesa di una risposta (i migranti / richiedenti asilo); ed è un termine giuridicamente sbagliato anche per definire chi ha visto rifiutata la richiesta d’asilo e ogni altra forma di protezione (gli irregolari).
Ma, soprattutto, il termine clandestino è una delle colonne portanti dei discorsi di odio, dell’hate speech; è uno strumento della cattiva politica, un termine usato dalla propaganda della paura per dare un nome al “nemico”, per seminare odio e per sollecitare una reazione di rifiuto che sempre più spesso si trasforma in violenza.
È un termine che sostiene la teoria secondo la quale l’immigrazione è essenzialmente un problema di ordine pubblico e di sicurezza, mentre le statistiche ci raccontano una realtà molto diversa con la diminuzione costante da anni del numero dei reati commessi nel nostro paese, e la cronaca ci racconta che i migranti piuttosto che al buio e di nascosto, vivono e muoiono sotto al sole dei campi nei quali vengono sfruttati.
Per questo la parola “clandestino” va cancellata dal linguaggio giornalistico, perché produce una percezione distorta del fenomeno migratorio.
A giugno l’Associazione Carta di Roma ha lanciato un appello al senso di responsabilità ed alla deontologia di tutti i professionisti dell’informazione affinché venga utilizzato un linguaggio corretto, affinché le notizie vengano sempre verificate prima di essere pubblicate per evitare la diffusione di un linguaggio di odio. Nel caso venga pronunciato da un politico, l’invito ai direttori è quello di non riprendere le parole di odio nei titoli, negli attacchi e nei lanci dei pezzi e di cercare sempre di fare una verifica di quanto viene scritto.
Oggi, ribadiamo con forza quello stesso appello, che si fa sempre più necessario. Nei primi otto mesi dell’anno la parola clandestino è comparsa 129 volte sulle prime pagine dei giornali italiani, il 32% in più rispetto al 2016 (dove nello stesso periodo, era presente in 98 titoli sulle prime pagine). Un trend in crescita significativa che va invertito, affinché il giornalismo non sia al servizio della discriminazione e della propaganda.
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