L’Associazione Carta di Roma lancia una proposta: proviamo a sostituire le parole che cancellano le identità e incutono paura con quelle più appropriate. Invece di “clandestino” scriviamo “persona” e vediamo l’effetto che fa
La scelta delle parole dà forma al racconto, lo rende visibile, diventa contenuto.
Le parole non sono mai sbagliate, è l‘uso che ne facciamo che può essere sbagliato, che può deformare il fatto che viene raccontato. Nel racconto delle migrazioni è sempre successo che le parole disegnassero il fenomeno con una forma diversa da quella reale. All‘inizio, ad esempio, erano tutti marocchini, a prescindere dal colore, dalla provenienza. Erano talmente marocchini che un giornale fece un titolo su un incidente stradale scrivendo “morto un uomo e un marocchino”.
Le parole usate male spersonalizzano, cancellano le identità, incutono paura.
Le parole fanno le cose e diventano cose, si trasformano sempre più facilmente in azione. Se sono parole violente diventano atti violenti e se non diamo la giusta importanza alle parole non riusciremo a dare giusta importanza neanche agli atti che ne sono diretta conseguenza.
È necessario ed urgente riportare in primo piano parole chiave come rispetto, verità e giustizia per arginare il dilagare dell‘intolleranza che si nutre di false notizie che si nutrono di odio, in un circolo perverso e devastante.
Noi dell‘Associazione Carta di Roma abbiamo pensato ad un piccolo esercizio per cominciare a ragionare sull‘uso delle parole: proviamo a sostituire “clandestino” con “persona” e vediamo l‘effetto che fa.
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