«Quello delle fake news è un falso problema, diffamazione, diffusione di notizie false e tendenziose, vilipendio esistono da tempo e nessuno ha mai gridato alla censura, strano che si metta in discussione qualcosa di così ovvio – è quanto afferma il presidente dell’associazione Carta di Roma, Giovanni Maria Bellu – Stiamo vivendo un enorme cambiamento nel mondo dell’informazione a livello globale, ci troviamo in una rivoluzione tecnologica ma a livello economico siamo in fase di recessione. Perciò, quello che è sempre stato un valore giornalistico, ovvero la tempestività, oggi è anche un valore economico e questo determina controlli più superficiali sulle notizie». Le false notizie e le loro conseguenze sono uno degli aspetti centrali nella domanda aperta “Informazione in Europa: quale libertà” posta ai relatori e agli intervenuti del dibattito organizzato da Osservatorio Balcani Caucaso e Associazione Carta di Roma.
Tra gli effetti delle fake news si collocano i discorsi d’odio: «Che sono di fatto fake news che si perpetuano nel tempo. Il discorso d’odio si fonda infatti in larga parte sul pregiudizio razzista, o sull’idea che esista una categoria del genere umano che non ha dignità in quanto tale. Non si tratta di conciliare il contrasto a questo con la libertà di informazione: è esso stesso l’ostacolo» ribadisce Bellu.
«La partecipazione attiva a livello di contenuti e diversità inclusiva sono fondamentali per la comunità – è quanto sottolinea Nadia Bellardi, community media Forum Europe – È un modo per fornire un’alternativa al mainstream, si tratta di progetti finanziati con fondi pubblici in molti paesi europei. Media associativi, non profit, complementari realizzano diversità inclusiva, vale a dire che, anche se sono migrante, non parlerò solo di migranti. La partecipazione ai progetti è diretta e si mettono in discussione gli stereotipi, come nel progetto Refugee radio network di Amburgo».
E se l’autoregolamentazione non fosse sufficiente per il contrasto ai pregiudizi? È quanto si domanda Pavlos Nerantzis, giornalista, Carta di Idomeni: «O almeno non basta, accanto bisogna prevedere delle misure disciplinari. Monitorare giorno dopo giorno come i media affrontino il tema dell’hate speech». Si tratta di un lavoro complesso, che palesa problemi: «I media hanno un atteggiamento rispettoso per le minoranze, ma i colleghi hanno detto che l’unica minoranza è quella musulmana, le altre no. Amnesty international in Grecia non vuole restringere vogliamo restringere la libertà di hate speech anche se è al limite dell’incitamento all’odio. In altra direzione procede la carta di Idomeni che è stata approvata fin dall’inizio da federazione europea, Università di Salonicco, di Atene e da Carta di Roma. Due mesi fa è stato avviato il monitoraggio, ora bisognerà raccoglierne i risultati».
In questo delicato equilibrio tra autoregolamentazione e informazione s’inserisce la recente classifica stilata da Reporters sans frontieres che colloca l’Italia al 52esimo posto per la libertà di stampa, scalata di posizioni, dal 77esimo della precedente classifica, giustificato in gran parte dalla chiusura del processo ai giornalisti Fittipaldi e Nizzi rispetto alla vicenda Vatileaks. «Sulla situazione italiana si riflette ciò che accade a livello globale, abbassamento complessivo del livello qualitativo dell’informazione, tendenza a cercare un uomo forte in politica – afferma Elisa Marincola, giornalista, Articolo21 – Si registra una tendenza diffusa a intervenire in maniera sanzionatoria attraverso uno strumento che in Italia è diventato di massa, quello della querela e della lite temeraria. Parallelamente si sono altri aspetti come l’ossessione per la sicurezza, fino a qualche anno fa l’idea di essere controllati avrebbe sollevato scandalo. Oggi a protestare sono solo i giornalisti».
In questo quadro il ruolo del social network come tramite d’informazione sul web è essenziale, ma con dei limiti: «Si pensa che riportare le voci sia un modo corretto di fare informazione, ma se noi non raccontiamo anche lo scenario, non offriamo gli elementi per valutare cosa significano certe espressioni a quale retroterra corrispondano, non facciamo un buon servizio – prosegue Marincola lasciando spazio anche a una prospettiva costruttiva di buone prassi – The Guardian che ha limitato la pubblicazione dei commenti sui suoi profili web, sembra un filtro censorio in realtà è un filtro fatto su criteri giornalistici, eliminando crescendo di flame e troll. In tema di hate speech c’è un primo accordo siglato tra Usigrai e Rai ed è importante che un’azienda di servizio pubblico si faccia carico di selezionare e sanzionare se è il caso, d’accordo col sindacato, e indirizzare a uso responsabile di informazione e linguaggio».
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