I media identificano spesso i richiedenti asilo come migranti economici o rifugiati sulla sola base del paese d’origine. Un atteggiamento superficiale che non trova fondamento nella Convenzione di Ginevra
Chiunque nel giustificato timore d’essere perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi.
Articolo 1 della Convezione di Ginevra 1951 (Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati)
La definizione di “rifugiato” contenuta nella Convenzione di Ginevra del 1951 non lascia spazio ai dubbi: la protezione internazionale è riconosciuta su base individuale e non in base alla nazionalità.
Cadono in errore, dunque, i giornalisti che, nello scrivere di accoglienza, distinguono i richiedenti asilo in migranti economici e rifugiati in base al paese d’origine, nonostante la procedura di domanda di asilo sia ancora in corso.
Uno sbaglio comune, il quale tuttavia contribuisce a rafforzare nell’opinione pubblica l’idea che chi proviene da certi paesi (la Siria, per esempio, la cui situazione è nota) abbia diritto all’asilo, mentre gli altri siano automaticamente esclusi dalla possibilità di beneficiarne. Sembra, infatti, che nell’immaginario collettivo i richiedenti asilo provenienti dai paesi dell’africa sub-sahariana siano necessariamente “migranti economici”.
A contribuire a una tale visione distorta, alcuni altri elementi: dall’esistenza di altre forme di protezione internazionale, a volte ignorate, alle rilevazione relative agli esiti delle domande d’asilo nei paesi europei.
Non solo asilo
La mancanza di considerazione per le altre forme di protezione internazionale può, come anticipato, confondere ancora di più le acque. Quando si mostrano i dati relativi agli esiti delle domande d’asilo, è contrapposto alla quantità di rigetti il numero totale di decisioni positive, oppure quello corrispondente al riconoscimento del solo status d’asilo; cifre che possono essere anche molto diverse tra loro. Laddove non vi sono i requisiti per ottenere asilo, infatti, è possibile rientrare sotto altre forme di protezione internazionale.
Allo status di rifugiato così come definito dalla Convezione di Ginevra si aggiungono laprotezione sussidiaria e quella umanitaria. Nel 2015, per esempio, l’esito delle domande in prima istanza in Italia vede riconosciuto lo status di rifugiato solo 3575 volte, mentre sono 15770 i casi di protezione umanitaria e 10270 quelli di sussidiaria. In pratica nel 2015, nonostante l’asilo sia stato concesso solo 3575 volte, sono state 29615 le persone che hanno beneficiato della protezione internazionale, perché impossibilitate a far ritorno nel proprio paese senza correre rischi.
La “protezione sussidiaria” è una forma di protezione internazionale introdotta dalla normativa dell’Unione Europea come ulteriore forma di protezione rispetto allo status di rifugiato, basato sulla Convenzione di Ginevra che presuppone una persecuzione individuale. La protezione sussidiaria, infatti, viene riconosciuta nei casi in cui un richiedente asilo non può essere rimpatriato nel suo paese di origine, poiché sarebbe a rischio di subire un danno grave, a causa di una situazione di violenza generalizzata e di conflitto. Inoltre, può essere riconosciuta la protezione sussidiaria in caso di pericolo di subire la tortura, la condanna a morte o trattamenti inumani o degradanti per motivi diversi da quelli previsti dalla Convenzione di Ginevra.
Glossario annesso alla Carta di Roma
La protezione umanitaria è una forma residuale: ne beneficia colui che, pur non avendo diritto a nessuna delle forme di protezione internazionale precedenti, necessita di una forma di protezione e/o assistenza perché particolarmente vulnerabile sotto il profilo medico, psichico o sociale o perché per altre ragioni non può essere rimpatriato.
La strumentalizzazione o l’uso impreciso dei dati relativi agli esiti delle domande d’asilo, in particolar modo giocando sulle decisioni positive (scegliendo di opporre ai rigetti i soli riconoscimenti dello status d’asilo, per esempio), può contribuire a far credere all’opinione pubblica che abbia diritto alla protezione solo un numero molto esiguo di richiedenti. Il passo successivo, per molti lettori e ascoltatori, è quello di identificare questi pochi con coloro che provengono da paesi i cui conflitti sono molto conosciuti in Europa.
Paese che vai asilo che trovi
Se non contestualizzati, anche i dati relativi alle tendenze dei paesi europei ad accettare o rifiutare le domande d’asilo possono favorire la radicalizzazione di questa percezione alterata della crisi umanitaria in corso.
Più volte è stata individuata la tendenza di ogni paese a riconoscere o negare la protezione internazionale a richiedenti provenienti da un determinato paese con più o meno facilità rispetto ad altri stati. Prendendo i sei paesi che nel 2015 hanno ricevuto il più alto numero di richieste d’asilo (in prima istanza e successive – nel grafico sotto indicati in ordine alfabetico) e analizzando l’esito in prima istanza delle domande presentate dai richiedenti di Siria, Afganistan e Iraq (tre principali nazionalità di provenienza nel 2015) è possibile osservare alcune differenze. Spicca il fatto che Italia e Ungheria abbiano rigettato un alto numero di domande di richiedenti asilo siriani, a differenza degli altri stati. Nel caso degli afgani, invece, l’Italia ha accettato una quantità superiore di domande rispetto alla media dei paesi considerati. Infine colpisce l’alto numero di dinieghi di Svezia e Ungheria rispetto agli iracheni, anche in questo caso non allineato con la media delle altre nazioni osservate.
Dati interessanti per un’analisi comparativa, che tuttavia possono essere male interpretati da chi si sofferma unicamente sulla nazionalità, arrivandola a identificare erroneamente come un “criterio” attraverso il quale stabilire chi è rifugiato e chi no.
Giudicare i richiedenti asilo non è nostro compito
Sono le commissioni territoriali, in Italia, a stabilire l’esito delle domande d’asilo; fino ad allora il richiedente asilo dovrebbe essere identificato come tale. Da giornalisti facciamo un favore a noi stessi e ai lettori: non giudichiamo a priori chi ha diritto alla protezione internazionale e chi no. Di certo non rientra tra le nostre competenze professionali.
Se poi approfondissimo la conoscenza dei paesi di provenienza e passassimo in rassegna la giurisprudenza in materia, ci renderemmo conto che distinguere tra i rifugiati e i migranti cosiddetti “economici” sulla sola base della nazionalità è semplicemente impossibile.