Di Francesca Romana Genoviva
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“Ogni occasione è buona per prendersela con i migranti”: sono le parole con cui Oliviero Forti, responsabile immigrazione della Caritas, ha commentato le polemiche scoppiate a seguito del sisma che a fine agosto ha colpito il Centro Italia, quando alcuni politici e giornali hanno sfruttato l’evento drammatico per contrapporre i rifugiati agli sfollati italiani. Per fomentare questa guerra tra poveri si sono usati tutti gli argomenti consueti: il Governo privilegia gli stranieri, li accoglie in hotel di lusso. Si è parlato persino di “finti profughi” con smartphone di ultima generazione.
Abbiamo selezionato alcune delle affermazioni più frequenti per smentire i pregiudizi nei confronti degli immigrati.
Una bufala è dura a morire, soprattutto nella piazza virtuale di internet. Ancora poche settimane fa social network e giornali hanno rilanciato i soliti slogan sui “clandestini ospitati in alberghi di lusso”, anche per contrapporre questa (presunta) accoglienza a cinque stelle alle sistemazioni di fortuna approntate per gli sfollati del sisma di Amatrice.
La leggenda degli hotel di lusso con piscina è usata puntualmente per fare propaganda. Qui l’esempio del Populista, sito web vicino alla Lega Nord.
Sono molti i giornalisti che si sono impegnati per smentire la favola della accoglienza in prima classe (un esempio particolarmente interessante è quello del Post); è vero che alcune volte i rifugiati sono ospitati in alberghi e pensioni, ma si tratta di situazioni eccezionali e non certo lussuose.
Quando i posti Sprar non sono sufficienti (com’è accaduto sistematicamente negli ultimi anni), entra in gioco il sistema di accoglienza straordinaria (Cas). Sono valutate tutte le offerte di posti letto, anche quelle che provengono da cooperative, albergatori o soggetti privati. E dato che questa accoglienza deve costare non più di 35 euro al giorno per persona, si può facilmente capire che le sistemazioni offerte non prevedono sauna e servizio in camera. Potrà trattarsi di hotel dignitosi, ma non lussuosi.
Va ancora sottolineato che l’accoglienza nei Cas lascia insoddisfatti gli stessi esperti del settore. In primis perché, come sottolinea in una intervista telefonica Daniela Di Capua, direttrice del servizio centrale Sprar, si tratta di soluzioni che nascono come temporanee e tali non sono; in secondo luogo perché la mancanza di un coordinamento centrale rende la qualità dei servizi offerti molto variabile, per cui la reale accoglienza e l’integrazione dei rifugiati cambieranno significativamente in dipendenza delle strutture nei quali saranno ospitati.
Gli annali della disinformazione annoverano diversi tentativi di attribuire ai migranti un potere straordinario: la capacità di percepire uno stipendio di 35 euro al giorno, più vitto e alloggio, senza svolgere alcun lavoro.
La leggenda nasce dalla cifra che il ministero dell’Interno ha calcolato come spesa media quotidiana dell’accoglienza, relativamente a migranti adulti.
Questa la prima pagina di Libero, il 30 settembre. Nonostante le numerose smentite, i “35 euro” continuano a essere strumentalizzati da politici e news media.
Come si diceva, il sistema Sprar è finanziato al 95% dal ministero, che attinge le risorse dal Fondo Nazionale per le Politiche e i Servizi dell’asilo, devolvendo agli enti locali (e non ai rifugiati) delle somme in base alla stima che, per accogliere un migrante adulto, servano circa 35 euro al giorno (45 per i minori).
La stessa cifra si ritrova nei bandi indetti per reperire posti Cas: le prefetture offrono la cifra massima di 35 euro a persona al giorno, riservandosi di aggiudicare i bandi col criterio del massimo ribasso (a parità del servizio, vince chi spende meno).
Ma come sono spesi i 35 euro al giorno? Un esempio di bando offre indicazioni precise: servizi di ingresso (identificazione); servizi di pulizia personale e dell’ambiente; erogazione di pasti; fornitura di beni di prima necessità (lenzuola, vestiti ecc.); servizi di mediazione linguistica e culturale. “Altri bandi prevedono anche servizi di assistenza sociale e legale alla persona.”
Ai richiedenti protezione internazionale spetta il solo pocket money, ovvero 2,50 euro al giorno fino al un massimo di 7,50 euro a nucleo familiare, e una singola ricarica telefonica di 15 euro all’arrivo (su cui si veda il punto successivo):
Per chi ancora non fosse convinto della necessità di spendere 35 euro al giorno in accoglienza, sarà utile analizzare il report del ministero dell’Interno sull’accoglienza di migranti e rifugiati, che analizza in concreto la ripartizione delle spese, evidenziando come oltre un terzo della cifra pagata nel 2014 sia rappresentata dal costo del personale.
Genera ancora stupore (e non poche polemiche) il fatto che molti migranti e rifugiati dispongano di un cellulare: il possesso di uno smartphone sarebbe la prova che non si tratta di persone povere, quindi perché dovremmo pagare la loro accoglienza? Tanto più che passano ore assembrati, attaccati ad internet o a parlare al telefono.
Per sgombrare la mente da pregiudizi, basta riandare alla nostra esperienza quotidiana, alle decine di chiamate che facciamo per dire “sono arrivato”. I migranti e rifugiati percorrono rotte pericolose e lunghissime: a volte lasciano dietro di sé parenti, altre volte attraversano mari e deserti per raggiungere qualcuno che li aspetta in Europa.
Il cellulare è quindi indispensabile per comunicare con la famiglia. Non solo: grazie allo smartphone, i migranti scambiano informazioni “di servizio” legate al viaggio e ai possibili rischi.
La “pretesa dello smartphone e del wi-fi” è, insieme all’accoglienza negli alberghi di lusso e ai 35 euro al giorno ai richiedenti asilo, uno degli esempi di disinformazione più diffusi sui media mainstream.
A questo proposito, qualche mese fa uno studio condotto da Open University ha evidenziato l’importanza della tecnologia e dell’uso dei social nei viaggi dei migranti, sottolineando che la mancanza di informazioni li spinge ad affidarsi a soluzioni illegali e pericolose.
Inoltre, è solo grazie alle immagini catturate di nascosto che sappiamo delle torture cui i migranti e i rifugiati sono sottoposti mentre attendono di imbarcarsi.
Ecco perché il cellulare è il primo bene che le persone si portano dietro In Italia e al loro ingresso nella struttura di accoglienza, le persone ricevono una ricarica telefonica. Un aiuto, che però non basta in mancanza di una connessione gratuita.
Ecco che la mancanza di una rete a cui connettersi spinge le persone a protestare, o ad assieparsi nei pressi di wi-fi aperti, inducendo alcuni amministratori a decisioni miopi e non risolutive.
Come si diceva, i posti per l’accoglienza ordinaria (in Sprar) sono pochi rispetto alle esigenze reali. Sempre più spesso il ministero chiede ai comuni di approntare nuove soluzioni per decine di richiedenti asilo, suscitando le proteste degli amministratori locali.
In primavera è scoppiato il caso Pero (Milano), dove la prefettura intendeva inviare 500 profughi in un ex residence semi-abitato; poi, sempre in Lombardia, c’è stata Legnano: 300 rifugiati in una caserma dismessa. Sono di quest’estate i casi di Capalbio e Abano, dove il solo annuncio dell’arrivo di alcune decine di profughi ha suscitato vive proteste di sapore razzista.
In alcuni casi i sindaci coinvolti hanno cercato di affrontare la situazione in modo propositivo (è il caso di Legnano, il cui primo cittadino ha agganciato una ventina di comuni della zona per ripartire in maniera più frazionata e dignitosa l’accoglienza).
In altri casi, la chiusura è stata totale: prima ancora di varcare i confini cittadini, gli ignoti rifugiati sono stati accusati di bighellonare e ridurre l’attrattiva turistica dei luoghi.
A dimostrare che questo non è un destino ineluttabile ci sono tanti esempi di integrazione, che hanno coinvolto singoli rifugiati o intere comunità. Se ne trovano molti nel rapporto pubblicato da Sprar e Cittalia, che racconta le storie di rifugiati che hanno sfruttato le loro conoscenze per aprire nuove attività commerciali, dalla sartoria alla ristorazione.
Non solo, in molti casi i profughi hanno contribuito a valorizzare il territorio (come nei casi dell’Orto botanico di Bergamo, pag. 19) e le sue produzioni caratteristiche, organizzando insieme alle cooperative locali start-up agricole come quelle di Asti e Rieti (pagg. 39 ss.).
In altri casi, per sdebitarsi dell’accoglienza i rifugiati hanno tenuto corsi di lingua gratuiti per gli italiani.
Questi i benefici dell’accoglienza secondo un documento redatto dal Servizio Centrale Sprar e ministero dell’Interno:
A dimostrazione dei benefici dell’accoglienza per le piccole comunità c’è il caso di Riace, comune della Calabria che alla metà degli anni Novanta ha cominciato a risentire gli effetti di un pesante spopolamento.
La stampa nazionale e estera si è più volte occupata dei modelli di accoglienza. Qui Al Jazeera English è nella Locride, a Camini: delle donne rifugiate imparano a cucinare le zeppole.
La massiccia accoglienza di profughi praticata dal tre volte sindaco Domenico Lucano ha consentito non solo di ripopolare, ma anche di far rivivere il paese, tanto da diventare un modello di integrazione e rilancio. Sulla scia di Riace, diversi comuni della Calabria hanno deciso di partecipare ai bandi Sprar per l’accoglienza ordinaria: Gioiosa, Africo, Camini e altri piccoli centri spopolati rivivono grazie all’apporto dei rifugiati, e hanno adottato una moneta complementare per il pagamento del pocket money.
E ancora: l’ultimo Atlante Sprar riporta diversi esempi di rilancio del patrimonio artistico italiano ad opera di migranti: è il caso di Capua, dove rifugiati e italiani collaborano dal 2014 per il recupero di mobili antichi e il restauro delle chiese della zona.
Per quanti si preoccupano degli effetti dell’accoglienza sul turismo, ecco un’indicazione utile: nell’ambito del progetto #SullevenedellaPuglia, i rifugiati hanno collaborato con alcune cooperative locali per la promozione turistica della zona, contribuendo a mappare il territorio per percorsi ciclabili e a tradurre in diverse lingue le audioguide.
Gli esempi positivi non mancano. Ma qual è il tasso di criminalità tra i rifugiati?
Non vi sono statistiche al riguardo; guardando ai numeri della popolazione carceraria, però, si può trarre qualche dato.
Secondo l’Associazione Antigone, al 31 agosto su 54195 detenuti gli stranieri sono 18311, circa un terzo del totale. Tra i detenuti non italiani, la maggior parte sono marocchini (17,2% degli stranieri), rumeni (15,3%) e albanesi (13,3%), seguiti dai tunisini (10,9%):
Nell’immagine in alto migranti e rifugiati sbarcano a Porto Empedocle, maggio 2016. ©UNHCR
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