Di Amedeo Ricucci, Associazione giornalisti amici di padre Dall’Oglio
Per Fnsi.it
Sarà colpa dell’Isis e della psicosi indotta dalla sua strategia del terrore – che ha colonizzato l’immaginario collettivo – ma qui in Italia e più in generale in Occidente si è creato una sorta di corto-circuito che favorisce la proliferazione dei pregiudizi sull’islam e finisce per criminalizzare le comunità musulmane, pregiudicandone una rappresentazione corretta sui media. Quella che prevale è una narrazione quasi sempre “al negativo”, che alimenta i peggiori sospetti, favorisce pericolosi equivoci e affonda spesso le sue radici nella scarsa conoscenza del mondo musulmano, della sua cultura, delle sue pratiche e della sua simbologia.
Un esempio su tutti: la storia di Murad al Ghazawi, un ragazzo siriano che si è fatto ingiustamente 14 mesi di carcere in quanto presunto terrorista dell’Isis. La sua foto è stata sbattuta in prima pagina da molti giornali e la sua storia è stata “romanzata” in mille modi. Eppure c’erano fin dall’inizio tutti gli elementi per dubitare della tesi accusatoria, costruita per assiomi e con prove ridicole: ad esempio la foto, ritrovata sul suo cellulare, di una bandiera nera con la scritta “Non c’è altro Dio al di fuori di Allah. E Maometto è il suo profeta”, che altro non è se non la Shahada, vale a dire la professione di fede che obbliga ogni musulmano e che, quindi, non può assolutamente essere messa in relazione con l’Isis. Un errore grossolano, insomma, ma i giornali hanno preferito sposare ad occhi chiusi il teorema accusatorio, tacendo poi quando un giudice, al processo, l’ha fatto crollare come un castello di sabbia.
Inutile nasconderselo: noi giornalisti siamo soggetti attivi in quel “mercato della paura” che prospera da qualche anno attorno all’emergenza terrorismo e che coinvolge, oltre a noi, attori diversi – nelle procure, tra gli esponenti politici, nelle forze di polizia giudiziaria e negli stessi servizi di sicurezza – accomunati da una scarsa o comunque insufficiente e inadeguata preparazione in materia. Questo “mercato della paura” servirà pure a costruire facili carriere ma di certo fa il gioco del terrorismo, di cui veicola i messaggi – veri o falsi – e finisce per rafforzare l’appeal.
Da tutto ciò è nata l’idea di un corso di formazione per giornalisti che avvii una prima riflessione sulle narrazioni prevalenti in fatto di islam, ne sveli le insidie e le manipolazioni ricorrenti, con l’obiettivo di fornire maggiori strumenti ai colleghi che sono impegnati, in redazione oppure sul campo, su questi temi.
Il corso è gratuito e dà diritto a 7 crediti formativi. Le iscrizioni si raccolgono sulla piattaforma SiGef.
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