Valorizzare la diversità nelle risorse umane, anche all’interno di una redazione, è il primo passo per migliorare un’azienda
Di Marco Buemi, esperto e docente di Diversity Management
Conoscere e saper valorizzare le diversità, differenziare per arricchire e migliorare. Sono queste le basi teoriche, ma soprattutto pratiche, da cui prende vita il Diversity Management.
Si tratta di un nuovo modo di gestione delle risorse umane, partendo dal principio cardine che vede nelle diversità un valore aggiunto, l’elemento vincente che può fare, appunto, la differenza in un contesto di lavoro non più, ormai, solo nazionale, ma internazionale e mondiale.
Nasce negli Stati Uniti alla fine degli anni ’80, probabilmente in seguito ad un emendamento costituzionale del ‘74-‘75 in base al quale il Governo americano spingeva affinché le imprese assumessero più donne e persone appartenenti alle minoranze etniche, dando loro maggiori opportunità di crescita in ambito professionale.
Oggi il Diversity Management inizia a diffondersi anche in Italia, benché il 47% delle persone non ne conosca ancora il significato.
A tal proposito basti pensare alla ricerca di PageGroup uscita a metà dicembre del 2015 dove emerge che solo due aziende su cinque applicano politiche e attività di Diversity & Inclusion. Tra i numerosi casi di analisi vi sarebbe quello relativo ad un campione di 1.202 intervistati, di cui 372 impiegati in contesti aziendali dove sono state adoperate tali politiche. È emerso che in due casi su cinque le suddette pratiche vengono adottate da circa tre anni.
Tra i fattori deterrenti all’utilizzo di attività inclusive spesso si segnalano: l’infondata convinzione che non siano teorie poi così efficaci per il benessere dell’azienda (39,6%); o, ancora, si pensa che si tratti di un fattore culturale che trova radice nella mentalità, evidentemente ancora arretrata sull’argomento, del dipendente e, di conseguenza, la non accettazione di determinati gruppi di persone (37,1%). Da non sottovalutare l’ipotesi che il 27,5% degli uffici non siano, a detta di alcuni, adatti a ospitare personale affetto da forme di disabilità.
D’altro canto, è incoraggiante notare che, tra chi, invece, si mostra disponibile ad integrare il proprio piano d’intervento con le pratiche di Diversity Management, ci sia chi vede, in queste politiche, l’adattamento alle imposizioni legali e alle ragioni etiche. Il 62,9% delle donne, ad esempio, ritiene che sia importante la ricezione di finanziamenti, mettendo quindi in primo piano l’aspetto economico. Ancora, il 60,2% ritiene che le questione di genere siano le ragioni principali per cui siano state realizzate le suddette pratiche; a seguire, la nazionalità per il 59,1%, la razza per il 53,5% e l’età per il 49,5%. Quest’ultimo aspetto sarebbe, peraltro, l’ambito per il quale il 36,2% dei dipendenti pensa che sia più necessario implementare pratiche di Diversity, perché ancora troppo spesso oggetto di discriminazione.
Questo tipo di approccio nasce dalla necessità di ottimizzare le differenti risorse presenti in azienda, al fine di mettere a disposizione di tutti le stesse opportunità, stimolando i singoli a fare meglio, creando un clima aziendale propositivo al fine di ottenere risultati e performance superiori.
Nel corso degli ultimi anni è incrementata la partecipazione di donne, persone disabili, persone anziane e di diverse nazionalità nel mondo del business. Progressivamente sta prendendo forma una diversa composizione della forza lavoro, fino a raggiungere i più alti livelli dirigenziali. Ciò anche in linea con quelle che sono le sempre più eterogenee esigenze dei consumatori, le quali determinano la necessità di adottare strategie di fidelizzazione più creative e innovare i contenuti. Così da adattare l’offerta di prodotti e servizi alle domande sempre più specifiche poste in essere dalla società contemporanea.
Da diversi studi emergono i principali vantaggi che le imprese sono in grado di produrre adottando politiche attive per la diversità:
- Rafforzamento dei valori culturali all’interno dell’organizzazione
- Promozione dell’immagine dell’impresa
- Maggiore capacità di attrazione di personale qualificato
- Miglioramento della motivazione e dell’efficienza della forza lavoro
- Miglioramento dell’innovazione e della creatività.
Il Diversity Management è molto di più della diversità in quanto tale. Esso si pone una domanda precisa: Quali sono le politiche che rendono felici i lavoratori e, di conseguenza, i consumatori finali e, quindi, le persone?
La diversità si manifesta negli stili di lavoro o nelle diverse esigenze di ciascun individuo. Mettere in pratica le politiche del Diversity Management comporterà inevitabilmente l’assunzione di nuove consapevolezze: riconoscere queste differenze per gestirle attivamente, fare leva su di esse per aumentare la competitività dell’azienda e le occasioni di successo.
Il Diversity Manager, dando centralità alla persona nella Gestione delle Risorse Umane, funge da “protettore” e garante di questo cambiamento culturale e organizzativo; il suo obiettivo è di creare un ambiente “inclusivo” in cui le differenze dei gruppi e degli individui non siano fonte di discriminazione, ma oggetto di reale attenzione e ascolto. Sempre più spesso nei luoghi di lavoro, a livello nazionale ma soprattutto internazionale, è richiesta questa figura del Diversity Manager.
Questo e molto altro è ciò che l’Executive Program in “Politiche e Gestione delle diversità”, promosso dall’università Luiss Guido Carli, in collaborazione con Telecom Italia, si propone di offrire a studenti e lavoratori che intendano interfacciarsi con quello che si può definire il lavoro del futuro.
I nuovi manager di domani non saranno più gli stessi di oggi, dovranno essere consapevoli che più i luoghi di lavoro saranno inclusivi e con una maggiore attenzione alla gestione delle differenze più le aziende avranno un ritorno economico, di immagine e di maggior produttività.
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