“Cercheremo di capire cosa può essere fatto per migliorare la qualità dell’informazione in relazione a queste tematiche.”
Paola Barretta, portavoce dell’associazione Carta di Roma, inaugura l’evento “Parole oltre il ghetto. Tra stigma e invisibilità: Rom e Sinti nel racconto mediatico” in collaborazione con Fondazione Diritti Umani, Ordine dei giornalisti e Ufficio Nazionale antidiscriminazioni Razziali.
“Se da un lato parole e linguaggio possono essere veicolo di conoscenza, perché noi dobbiamo conoscere il contributo alle nostre società che hanno dato rom e sinti, dall’altro hanno anche un effetto moltiplicatore nel consolidare stereotipi e pregiudizi.”
Agnese Canevari, Dirigente Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, racconta che secondo un’indagine il 50% delle persone percepisce le comunità rom e sinte come straniere e come un pericolo, solo il 25% conosce il termine antiziganismo. La gran parte degli intervistati ammette che c’è un grosso pregiudizio nei loro confronti. L’informazione a riguardo avviene soprattutto attraverso i media.
“L’8 aprile 1971 si tenne il primo congresso mondiale dei rom. La guerra era finita da poco, stavano ancora sterilizzando le donne rom in alcuni Paesi. E i nostri padri fondatori di una nazione che non ha confini hanno detto: ‘noi rivendichiamo il nostro diritto all’auto-rappresentazione, alla nostra rappresentazione. Pretendiamo di dire ‘noi chi siamo’. Il primo passo è la partecipazione politica, il potere di potere dire chi siamo. Si parla del diritto di un popolo transnazionale di partecipare alla vita pubblica dei luoghi in cui vive. Ma ancora questo viene impedito.”
Dijana Pavlovic, portavoce del movimento Kethane Rom e Sinti in Italia, parla dell’importanza della partecipazione di rom e sinti alla vita pubblica dei Paesi in cui abitano e del riappropriarsi della propria narrazione, della propria storia.
“Il problema è che queste rappresentazioni e manifestazioni d’odio molte persone finiscono con il negare la propria identità, condannandosi a vivere nell’invisibilità. Secondo me bisogna soffermarsi su come rom e sinti vengono rappresentati dai media, sul fatto che vengono associati solo a situazioni negative.”
Eva Rizzin, dell’Università degli studi di Firenze, Dipartimento di Formazione, Lingue, Intercultura, Letterature e Psicologia, esperta in analisi delle discriminazioni inizia da una storia di discriminazione per parlare della rappresentazione mediatica di comunità rom e sinte, portando esempi concreti di generalizzazione e approssimazione.
“Rom e sinti emergono nella rappresentazione mediatica spesso come un problema sociale. Tutto questo avviene in un clima di totale normalità, assuefazione e indifferenza. Sono parole che non creano dolore e disagio, ma lo creano nelle persone rom e sinti. E il discorso d’odio può portare anche a episodi di violenza”.
“Le persone rom e sinti spesso scoprono la loro appartenenza in maniera negativa proprio a scuola. È successo a mio figlio nel 2020, il 27 gennaio. Io ero al Nelson Mandela forum a parlare a migliaia di studenti delle persecuzioni subite dalla mia famiglia assieme ai sopravvissuti della Shoah. Lo stesso giorno sono tornata a casa e ho scoperto che a scuola, in un esercizio fatto in classe, la maestra aveva chiesto agli studenti di scrivere la “z” di “zingaro”. Mio figlio si è opposto, ed è iniziato un dibattito in classe, lui è tornato a casa sconvolto. Il giorno dopo le maestre ci hanno chiesto scusa. Ma spesso i bambini che vivono in condizioni di emarginazione non riescono a farsi sentire.”
“L’antiziganismo ha una particolarità: è difficile da vedere, è completamente sconnesso dal percorso storico. E penso che al di là del problema del razzismo e del pregiudizio ci sia un grande problema di conoscenza, il primo strumento di decostruzione di stereotipi e pregiudizi. Di rom e sinti non si sa nulla se non una visione carica di stereotipi”.
“Quello che sappiamo con certezza è che rom e sinti in Italia sono pochi, per oltre la metà italiani, per oltre la metà minorenni, la stragrande maggioranza vive in casa, solo una minoranza vive in altre forme abitative. Ma non è questa l’immagine che spesso raccontiamo e che leggiamo”.
Stefano Pasta, giornalista e docente racconta il paradosso della visibilità e quello della devisibilità, in cui un gruppo target viene reso visibile in modo tale da essere comunque non visto per ciò che in realtà è.
“La visibilità di rom e sinti in questo sistema mediatico non permette la reciprocità e mutualità degli sguardi, non è sociale, non tiene conto dell’arricchimento dell’esperienza, non permette un processo di riconoscimento, li rende ingabbiati in una cultura pressoché immutabile. Non c’è occasione di confronto, di creazione di punti di contatto.”
Questo paradosso della devisibilità fa parte di una forma definita di “ignoranza organizzata”, che non è casuale, perché deriva da un racconto uniforme che nega il meticciato e tende a deumanizzare.
La piramide dell’odio ci dice che tutte le discriminazioni più forti, concretizzate in fatti acuti, si collocano come esito di un processo fatto di fasce di diverse intensità.
“Sinti e rom sono un pezzo della storia italiana da almeno cinque secoli. Una storia marginale perchè reclusi dentro certi spazi. Spazi che spesso si riducono a casi di cronaca nera. Io vorrei dimostrare che possiamo contrastare questa narrazione partendo da testimonianze e creatività”. Danilo De Blasio, giornalista e Direttore della Fondazione dei Diritti Umani racconta il ruolo che può avere un podcast nel cambio di narrazione facendo ascoltare una parte dell’audio documentario “Porrajamos”. “A novembre 2009 in via Rubattino a Molano hanno sgomberato un campo dove vivevano delle persone che avevano trovato uno spazio nello scheletro di una vecchia fabbrica. Quello che volevo raccontare è che c’è stata una grande reazione di solidarietà”.
Roberto Bortone, dell’Ufficio Antidiscriminazioni razziali conclude il convegno “Parole oltre il ghetto” con alcune considerazioni: “Oggi non siamo più nel periodo di propaganda attiva, ma in una fase più tranquilla in cui si parla meno di rom e sinti, ma la pre-propaganda è sempre lì, i meccanismi sono sempre in agguato. La sfida è uscire dalla nostra bolla. Ci sono delle cose che non ci vogliamo dire. Ad esempio che tutto il tema delle contro storie che avete raccontato oggi assumono tratti diversi rispetto ad anni fa. Noi abbiamo vissuto un periodo storico in cui la propaganda anti rom era fortissima e serviva a compiere degli atti, in quel caso violenti. Dopo la strategia europea sono cambiate tante cose, tra cui il discorso mediatico. Ci sono tante sfide comunicative che riguardano tutti. Dobbiamo continuare con creatività e resistenza”.