L’iniziativa ha attraversato otto paesi europei (Romania, Ungheria, Bulgaria, Francia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Germania, Italia) ed è iniziata lo scorso 15 febbraio.
L’obiettivo è approfondire una specifica forma di discriminazione, quella contro rom e sinti, attraverso lo scambio d’esperienza tra attivisti, giornalisti ed associazioni. Il filo rosso che ha condotto i seminari attraverso l’Europa è stato il medesimo «impsotare un approccio integrato, dove i progetti non siano più separati» ha evidenziato Massimo Serpieri, direttore generale giustizia e consumatori della Commissione europea.
L’intervento del presidente dell’Associazione 21 luglio, Carlo Stasolla, è focalizzato invece sui dati della popolazione rom e sinti in Italia «con 180.000 persone, i rom sono la terza minoranza in Italia di cui 140.000 vivono in realtà convenzionali, nelle case. Tuttavia, è dal 2000 che l’Italia viene definita “Paese dei campi” campi sostenuti dal fondo pubblico. Dal 2012, da quando si è adottata una politica di sostegno ai campi, sono stati spesi oltre 20 milioni. In aggiunta, gli sgomberi costano circa 1250 euro a persona ed a Roma sono aumentati in concomitanza del periodo giubilare, fino ad arrivare a 10 sgomberi al mese». I fondi europei avrebbero destinazione diversa «ovvero per il superamento dei campi, diversamente dai fondi nazionali, di cui l’80% sono spesi per il mantenimento degli stessi».
I giornalisti in visita al campo attrezzato di Casal Lumbroso. In alto alcune altre foto dei luoghi e delle persone incontrate.
Ann Hyde, coordinatrice del progetto “for Roma, with Roma”, ha evidenziato come «i report più negativi provegnono da Italia, Repubblica Ceca e Bulgaria ed il ruolo più importante è svolto dai media, che sono in grado d’influenzare, in questo caso negativamente, l’opinione pubblica». L’incontro è proseguito con il racconto delle storie di alcuni membri della comunità rom in Italia. Tra le diverse esperienze raccontate, Toni Deragna racconta del Villaggio delle rose, in via della Chiesa Rossa, a Milano, dove si trovano, autorizzate, 257 persone, «è un campo che esiste da diversi anni e lì siamo una famiglia, tutti». Diverse sono le esperienze di Ivana Nikolic, che ribadisce emozionata: «l’unico modo per uscire da questa realtà è l’istruzione» ed aggiunge una metafora particolarmente concreta «la cultura è come un minestrone di verdure, farlo solo con cipolla e pomodoro non funziona, le verdure vanno messe tutte, ma poi, per fortuna, le verdure che lo compongono sono amalgamate e non si distinguono più le une dalle altre». L’entusiasmo di Vincenzo Spinelli traspare dalle parole dedicate alla sua famiglia «oggi che non vivo più in un’area di sosta ma in una casa, dopo 14 anni di lotta, sono felice di vedere mia moglie uscire con le amiche per una pizza, o mia figlia piccolina fare una festa per il suo compleanno, in un campo non sarebbe stato possibile».
«Per rispondere alla discriminazione bisogna affrontare un problema culturale» evidenzia Paolo Ciani, comunità di Sant’Egidio, «i rom sono un microcosmo di diversità, vanno apprezzati e conosciuti per quello che sono e che rappresentano» promuovendo una reciproca conoscenza.
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