Il documento si attiene alla definizione di “baraccopoli” fornita dall’Agenzia delle Nazioni Unite Un-Habitat, secondo cui questi luoghi, svantaggiati ed emarginati, sono caratterizzati da una condizione di povertà e da grandi agglomerati fatiscenti, estromessi dai principali servizi base, i cui abitanti non hanno la sicurezza del possesso e sono esposti a sgomberi, malattie e violenza.
Il fenomeno delle baraccopoli romane, ufficialmente chiuso negli anni Ottanta ma riproposto con l’arrivo delle nuove comunità rom jugoslave prima e rumene dopo – si legge nell’Agenda – è stato regolamentato nella città di Roma attraverso un approccio culturalista che ha affondato le sue radici in un abbaglio: i nuovi migranti sono diversi da quelli giunti nel dopoguerra, sono cittadini “nomadi” che non sanno e non desiderano vivere in abitazioni ordinarie.
L’alternativa alla baracca, per queste persone, non è stata più considerata la casa, come era stato fino al decennio precedente, ma il “campo nomadi”, ribattezzato successivamente “villaggio attrezzato” e “villaggio della solidarietà”.
«In campagna elettorale ai candidati sindaco viene puntualmente chiesto come pensano di affrontare il problema dei rom – ha affermato Carlo Stasolla, presidente di Associazione 21 luglio – Ma una domanda di questo tipo ha al suo interno la trappola dell’etnicità. Quando si è messa definitivamente la parola fine sulle baraccopoli romane, il sindaco Petroselli non si è mai posto la questione dell’origine etnica delle persone ma ha pensato a garantire un alloggio dignitoso a tutti i cittadini che non sono in grado di averlo. La domanda giusta da porre ai candidati dovrebbe dunque essere: “Qual è il suo programma sulle baraccopoli, che sono abitate da persone di cittadinanza italiana, rumena, serba, peruviana, bosniaca”?».
Eppure, il piano straordinario per l’emergenza abitativa della Regione Lazio, che ha stanziato 250 milioni di euro per 1.200 alloggi nella Capitale, ha escluso, ancora una volta, gli abitanti delle baraccopoli, limitando il sostegno abitativo ai nuclei in graduatoria per un alloggio popolare, agli abitanti dei residence e delle occupazioni.
L’Agenda sottoposta ai candidati sindaco da Associazione 21 luglio presenta un piano concreto per la prossima Amministrazione, costituito da quattro macro-azioni, per la chiusura graduale e definitiva di tutte le baraccopoli romane nel quinquennio 2016-2021, attraverso:
«È quanto mai urgente che il prossimo primo cittadino si impegni a superare la piaga delle baraccopoli romane, offrendo una risposta di carattere sociale ai reali bisogni delle periferie e mettendo fine a decenni di politiche di segregazione, esclusione e caratterizzate da ingenti sprechi di denaro pubblico e dinamiche corruttive – ha concluso Stasolla – Del resto, il prossimo sindaco, appena eletto, troverà sulla sua scrivania almeno quattro situazioni che sarà chiamato ad affrontare e sulle quali dovrà dimostrarsi preparato: la fuoriuscita di 325 persone da un centro dove vivono ex baraccati; la chiusura della baraccopoli La Barbuta disposta dal Tribunale Civile dove vivono 555 persone; il rischio dell’apertura di una procedura di infrazione UE che riguarderà, in primo luogo, proprio la Capitale; e una delibera di iniziativa popolare sul superamento dei “campi” che andrà discussa in seno al Consiglio Comunale, proposta da 9 organizzazioni aderenti al Comitato Accogliamoci».
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