Calabria, Campania, Basilicata, Puglia e Lazio: sono queste le regioni dove le condizioni di lavoro e vita dei braccianti agricoli stranieri sono state analizzate da Medici per i diritti umani. Sfruttamento e violazioni dei diritti fondamentali continuano a caratterizzare, seppure con modalità e caratteristiche non omogenee, le aree esaminate.
In tutti i territori, la maggior parte dei lavoratori stranieri intervistati era in possesso di un regolare permesso di soggiorno: per motivi di lavoro nelle aree stanziali come la Campania e il Lazio; per protezione internazionale o motivi umanitari dove vi è maggiore flusso stagionale come la Calabria: per ragioni miste in Basilicata. La presenza di lavoratori stranieri in condizioni di irregolarità è risultata inferiore rispetto ad altre ricerche svolte in passato: trascurabile nell’Agro Pontino e nel Vulture Alto Bradano, ridotta a non più di un quarto dei migranti assistiti nella Piana del Sele e nella Piana di Gioia Tauro.
Persiste il lavoro nero, con particolare rilevanza nella Piana di Gioia Tauro dove l’83% dei migranti incontrati da Medu era senza contratto. I lavori con contratto sono risultati essere invece i due terzi nella Piana del Sele e nel Vulture Alto Bradano e quasi il 90% nell’Agro Pontino; nonostante ciò anche in queste aree sono state rilevate diffuse irregolarità contributive e salariali: «In particolare – scrive Medu – in tutti i contesti i contributi dichiarati sono risultati, nella maggior parte dei casi, nettamente inferiori al numero di giornate lavorative effettivamente svolte così come anche il salario, sia in presenza di contratto sia di lavoro nero, è risultato nettamente ridotto rispetto ai minimi giornalieri garantiti dal contratto nazionale e dai contratti provinciali di lavoro. Nella Piana di Gioia Tauro, per esempio, a fronte di una paga minima giornaliera di 42 euro lordi prevista dal contratto provinciale, i lavoratori hanno dichiarato di percepire in media 25 euro al giorno». La riduzione delle retribuzioni va dal 30 al 40%. Fa eccezione la zona del Vulture-Alto Bradano, dove la paga giornaliera è tra i 57 e i 76 euro: il breve periodo della raccolta – dai 30 ai 60 giorni, tuttavia, fa sì che la giornata di lavoro sia particolarmente lunga e intensa.
Il caporalato risulta essere più diffuso in presenza di un maggior flusso stagionale, quindi nella Piana di Gioia Tauro e nel Vulture Alto Bradano. Tuttavia anche in un territorio come l’Agro Pontino, dove la quasi totalità dei migranti intervistati possedeva un contratto di lavoro, un terzo ha dichiarato di aver fatto ricorso a questa illegale forma di reclutamento (7%) o non ha voluto rispondere (25%). In tutte le cinque aree è risultata prevalente la figura del caporale etnico, proveniente dallo stesso paese o dalla stessa area geografica dei braccianti reclutati. Lo sfruttamento economico del lavoratore da parte del caporale ha diverse caratteristiche: consiste a volte nel pagamento del trasporto nei luoghi di lavoro, o, come in Basilicata, nella sottrazione di una certa quota della paga giornaliera, o infine, nel caso della Calabria, nel pagamento da parte del datore di lavoro al caporale di una certa cifra concordata in funzione dei braccianti messi a disposizione in una data giornata.
Nei luoghi in cui i flussi di lavoratori stagionali sono più intensi Medu non ha rilevato miglioramenti rispetto al passato: baraccopoli e casolari fatiscenti continuano a rappresentare la soluzione per i braccianti e, scrive l’associazione, «rappresentano ancora oggi il drammatico quadro da “crisi umanitaria” che segna il paesaggio di queste campagne». In Calabria, nella Piana di Gioia Tauro, ben il 79% dei migranti assistiti da Medu abitava in ricoveri di fortuna privi di qualsiasi servizio; in Basilicata, nel Vulture-Altro Bradano, la cifra sale fino al 98%.
I lavoratori stranieri agricoli hanno un’età media che oscilla tra i 30 e i 39 anni e sono in prevalenza uomini (93%). Le patologie più spesso diagnosticate da Medu, che riguardano principalmente il sistema osteo-muscolare, l’apparato digerente e l’apparato respiratorio, sono in molti caso il risultato delle condizioni di lavoro nei campi e di quelle abitative e igienico-sanitarie. Al contrario sui lavoratori assistiti non sono state rilevate malattie infettive da importazione.
Nonostante i presidi di sicurezza, quali guanti e scarpe da lavoro, siano generalmente utilizzati, nell’80-90% dei casi è il lavoratore stesso a doverseli procurare, contrariamente a quanto previsto dalla normativa; solo l’Agro Pontino, dove in circa la metà dei casi è il datore di lavoro a fornirli, fa eccezione. Medu segna inoltre che nella Piana del Sele, tra i lavoratori che hanno dichiarato di entrare in contatto diretto o indiretto con fitofarmaci, l’80% ha ammesso di non far uso della mascherina protettiva.
Anche dal punto di vista dell’integrazione sanitaria l’unico quadro soddisfacente è stato riscontrato nell’Agro Pontino dove circa nove migranti su dieci regolarmente soggiornanti possiedono la tessera sanitaria e fruiscono del medico di medicina generale. La situazione più grave, in questo senso, è stata rilevata in Campania dove la maggior parte dei migranti intervistati, pur risiedendo in Italia da oltre due anni, era priva della tessera sanitaria.
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