Sapevate che la lingua inglese sta iniziando a “morire” nelle scuole della Gran Bretagna? Davvero in alcune di esse “l’inglese a malapena si sente”? Rispondete sì se avete letto l'”inchiesta speciale” in prima pagina del Daily Express che citava 311 idiomi in apparenza parlati nelle nostre classi. Rispondete no se avete letto il verdetto dell’Independent Press Standards Organisation su questa storia, che è stata giudicata “inaccurata” e “completamente non supportata” dai dati citati. Con la presenza forzata di un’ampia correzione in prima pagina.
Buon per l’Indipendent Press Standards Organisation, potreste dire. Almeno la “Voce di Desmond” (gioco di parole che fa riferimento al nome dell’editore del Daily Express, Richard Desmond, ndr) dovrebbe restare in silenzio per cinque minuti. Ma poi mettete questa scoperta in un più largo e sconcertante contesto. «Storie in movimento» – il nuovo rapporto Ethical Journalism Network – pone la copertura mediatica della crisi rifugiati e dei flussi migratori proprio in quel più ampio panorama e in modo puntuale auspica molte – piuttosto ovvie – riforme: competenza, attenzione particolare, formazione, accesso, risorse accresciute. In sintesi risposte deontologiche standard a dilemmi etici.
Ma, ancora una volta, le raccomandazioni del rapporto non potrebbero essere più convincenti della situazione essenziale che fa emergere, la quale cambia da paese a paese; dalla Turichia, al Gambia, alla Cina, terre dove la migrazione e l’atteggiamento verso essa variano profondamente. Ciò che se ne pensa dipende da dove si siede. Non c’è un unico problema: esistono innumerevoli problemi. Ed è questo il nostro particolare problema.
Quale editorialista ha detto: «Non mi interessa. Mostratemi le immagini di bare, mostratemi i corpi galleggianti, suonate i violini e mostratemi persone emaciate che appaiono tristi. Non mi interessa ancora… Questi migranti sono come scarafaggi. Potrebbero sembrare un po’ come quelli dell’Etiopia di Bob Geldof, ma sono fatti per sopravvivere a una bomba nucleare. Sono sopravvissuti»?
Quale importante canale televisivo ha messo in guardia gli spettatori sul fatto che «Lo Stato Islamico sta inondando l’Europa coi rifugiati»? Quale primo ministro ha avvertito che «due milioni di rifugiati sanno aspettando alla frontiera»?
La prima – ormai nota – citazione proviene da Katie Hopkins sul Sun. Mentre il titolo di telegiornale è bulgaro, così come il primo ministro coi due milioni in mente. “Storie in movimento” riporta molti altri esempi disgustosi – dall’Italia agli Stati Uniti – di presunte storie fatte cuocere a fuoco lento nella paura, nell’odio e in una confusa percezione.
Cosa fare allora? L’italiana Carta di Roma condanna nella sua prima clausola l’informazione “inaccurata, semplificata o distorta”. Il codice dell’Indipendent Press Standards Organisation in Gran Bretagna ripete quasi esattamente la stessa formula, sostituendo “fuorviante” a “semplificata”. Non è astrofisica. Informazioni sul numero di rifugiati, sulle loro difficoltà, sulle soluzioni, sono vitali. Così come lo sono le informazioni sugli idiomi parlati, sull’integrazione, sui minori.
Certamente è difficile: troppe posizioni nazionali, troppi miti, troppe incomprensioni in malafede. E certamente un dato di fatto per uno può essere il pregiudizio di un altro. Ma non nascondete una sobria soddisfazione quando i racconti più nebulosi sono districati. Scoprire una nuova passione per il fact checking il motivo ricorrente del 2016.
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