Di Danilo Giannese, Associazione 21 luglio
Se sapessimo come sono fatti i giornali non li leggeremmo, così come non mangeremmo i würstel se sapessimo bene come li fanno, mi diceva un saggio giornalista.
Chi scrive dovrebbe sentirsi responsabile di ciò che tanti lettori leggeranno, verificando le informazioni, con l’unico obiettivo di parlare alla testa del pubblico, non alla pancia. E invece ci si lascia andare ad affermazioni in libertà come queste che voglio riportarvi oggi, ad opera de Il Giornale, a cui si risponde punto per punto.
“Nulla, però, impedirebbe ai rom di comprarsi una casa di tasca propria o di andare a vivere in affitto eppure questo non avviene”
Decenni di politiche istituzionali discriminatorie e segregative, che hanno relegato i rom nei campi – anomalia tutta italiana – impediscono ai rom di accedere alle stesse opportunità e relazioni sociali proprie di ogni cittadino. In questa luoghi di isolamento fisico e relazionale, ghetto su base etnica, numerosi sono i rom senza documenti, pur essendo nati e cresciuti in Italia, apolidi di fatto, invisibili, che pertanto non possono accedere a servizi sanitari, lavorare regolarmente, sposarsi. Privi, nella quasi totalità dei casi, dei mezzi economici che permetterebbero loro di “andare a vivere in affitto”, come per tanti cittadini non rom, la questione dell’inclusione sociale continua a viaggiare su un binario parallelo rispetto ai non rom, che non vengono inseriti negli stessi progetti di sostegno abitativo che esistono per tutti gli altri cittadini, continuando invece a mantenerli nei campi, un sistema che ha prodotto finora milioni di euro a vantaggio di enti e cooperative (vedi Mafia Capitale). Basterebbe riconvertire tali risorse in progetti di reale inclusione socio-abitativa, anche per i cittadini non rom, e quella dei rom non sarebbe più una questione sulla quale costruire consenso elettorale.
“Anzi, se da un lato le tre organizzazioni spingono perché i campi vengano chiusi definitivamente, dall’altro lato si lamentano perché a Roma il numero di sgomberi forzati di rom dai campi abusivi è triplicato rispetto all’anno precedente al 2014, passando da 21 a 64 operazioni di sgombero nel 2015”
Quello di cui si lamentano le tre organizzazioni sono gli sgomberi forzati, giudicati illegittimi dal Comitato economico per i Diritti Sociali, Culturali ed Economici dalle Nazioni Unite. Uno sgombero forzato – che riguarda gli insediamenti informali – è tale perché non rispetta le garanzie procedurali previste dal suddetto Comitato. È forzato se non offre una soluzione abitativa alternativa alle persone, rendendole ulteriormente vulnerabili, senza un tetto, seppur precario, sopra la testa; se non prevede una consultazione genuina con le famiglie e se non preceduto da una notifica formale e da un necessario preavviso.
“Ma non sarebbe più semplice se le tre associazioni si adoperassero per convincere i rom ad abbandonare spontaneamente i campi? È paradossale chiedere di sanzionare l’Italia perché tiene segregate delle persone da un campo che, poi, quando arriva il momento dello sgombero, non vuole effettivamente lasciare”
I rom vogliono uscire dai campi. Per farlo ė necessario che le istituzioni, come previsto dalla Strategia Nazionale per l’Inclusione dei Rom, si adoperino per favorire l’inclusione sociale di tali comunità. I campi segregati a cui ci si riferisce sono quelli ufficiali, formali, creati e gestiti dalle istituzioni. Quando si parla di sgomberi forzati ci si riferisce a insediamenti informali che, seppur precari, rappresentano l’abitazione di queste persone. Nessuna delle organizzazioni vorrebbe che i rom vivessero in questi luoghi, ma uno sgombero forzato ha come unica conseguenza quella di distruggere tali abitazioni, seppur precarie, senza che alle famiglie venga offerta una soluzione alternativa. In più tali sgomberi sono molto costosi ed è provato che non fanno che spostare il problema da una parte all’altra della città, continuando a ragionare attraverso una visione prettamente emergenziale.
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