Le condizioni di accoglienza in Italia sono ancora fortemente problematiche. A ribadirlo è Medici senza frontiere nel suo rapporto, “Fuori campo”, prima mappatura su scala nazionale degli insediamenti informali abitati in prevalenza da rifugiati mai entrati nel sistema istituzionale di accoglienza oppure usciti senza che il loro percorso di inclusione sociale si fosse compiuto.
I dati raccolti da Medici senza frontiere in “Fuori campo” hanno palesato come la gestione dell’accoglienza, negli ultimi cinque anni, sia stata di approccio emergenziale. Nel solo 2015 a fronte di 153.842 sbarchi ci sono state 83.970 richieste d’asilo per 19.715 posti ordinari (garantiti dal sistema di accoglienza ministeriale dello Sprar) e si sono dovuti organizzare 76.683 posti straordinari.
La carenza di posti è stata resa ancora più critica dai prolungati tempi di permanenza all’interno delle strutture e sarebbe stata ancora maggiore se non fosse una pratica diffusa per i migranti quella di abbandonare volontariamente il centro prima dell’identificazione completa per poter proseguire il viaggio verso altri paesi europei e una volta giunti lì chiedere asilo.
Sono migliaia gli invisibili, richiedenti asilo e rifugiati, mai entrati nel circuito dell’accoglienza o che ne sono usciti troppo presto. Vivono negli insediamenti informali: edifici occupati, baraccopoli, tendopoli oppure siti all’aperto sparsi sul territorio nazionale, in città come in campagna. Il 66% di loro non ha alcun accesso alle cure mediche, nonostante l’86,5% abbia avuto almeno un problema di salute nel mese precedente la pubblicazione del rapporto.
Ad aggravare il quadro si è inserito nel 2015 “l’approccio hotspot”. Come denuncia il rapporto, molti dei migranti sbarcati sulle coste della Sicilia ricevono provvedimento di respingimento con l’intimazione a lasciare il territorio entro 7 giorni. Questo avviene, come segnalano numerose organizzazioni e molti legali, dopo che gli stessi hanno marcato, su un foglio notizie, una frase in cui dichiarano di essere in Italia per lavoro. A destare preoccupazione è il modo in cui arrivano a firmare questo documento: spesso senza aver ricevuto alcuna informazione circa la possibilità di far richiesta di asilo, viene chiesto loro se sono giunti nello stivale per trovare lavoro. Una domanda a cui i più rispondono di sì, poiché è ovvio che la costruzione di una nuova vita passa anche per l’occupazione. Questo tipo di discriminazione avviene spesso sulla base della nazionalità.
Potenziali richiedenti asilo, quindi, sono tagliati fuori dal sistema di accoglienza, andando ad accrescere la popolazione degli insediamenti informali e degli altri contesti di marginalità sociale. Una volta in strada, senza avere accesso alla necessaria assistenza, sarà ancora più difficile per loro riuscire a ottenere le informazioni per richiedere la protezione internazionale.
Per ulteriori informazioni sul rapporto “Fuori campo” di Medici senza frontiere clicca qui.
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