Dati e fatti gli strumenti usati da 21 luglio per replicare agli stereotipi e luoghi comuni contenuti in un articolo pubblicato sul blog “Avanti senza paura”
Pubblichiamo di seguito la lettera inviata alla redazione de “Il Giornale” in risposta all’articolo “Priorità: espellere certi Rom dall’Italia alla faccia del politicamente corretto”, uscito l’8 giugno scorso sul blog “Avanti senza paura” di Andrea Pasini. Perché per un’informazione corretta, è indispensabile combattere luoghi comuni e pregiudizi.
Gentile Andrea Pasini,
Associazione 21 luglio Onlus è un’organizzazione nazionale, composta da rom e non rom, che si occupa della promozione e della tutela dei diritti dei rom e dei sinti in Italia.
Le scriviamo in merito ad un post uscito sul suo blog per “Il Giornale” in data 8/6/2016 dal titolo “Priorità: espellere certi Rom dall’Italia alla faccia del politicamente corretto” (questo il link) che, al di là delle sue opinioni, presenta inesattezze e si basa su dati errati che ci teniamo a segnalarle.
Quando nel post afferma che il nostro Paese è uno Stato in cui «i rom rappresentano numericamente un’emergenza sociale non minore che in Francia», se di emergenza sociale vuole parlare, i conti non tornano. Secondo le rilevazioni del Pew Research Center con riferimento al 2014, i rom residenti in Francia sono stimati nel numero di 500.000 unità, mentre in Italia – come lei ha scritto – la stima non supera le 180.000 unità. Tra questi, almeno la metà hanno cittadinanza italiana e solo 35.000-40.000 vivono nei cosiddetti “campi rom”. Tale numero rappresenta lo 0,06% della popolazione italiana, una realtà numericamente insignificante che si fa fatica a considerare come “Emergenza”.
Farlo è fuorviante e strumentale. Prima di lei ci aveva provato il 21 maggio 2008 l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi quando aveva dichiarato la cosiddetta “Emergenza Nomadi” nelle Regioni di Lazio, Campania, e Lombardia e poi, successivamente per le Regioni di Piemonte e Veneto. L’”Emergenza Nomadi” è stata dichiarata illegittima dal Consiglio di Stato una prima volta il 16 novembre 2011 con sentenza n. 6050, poi in data 2 maggio 2013 rigettando il ricorso presentato dal Governo italiano il 15 febbraio 2012 e chiudendo così ogni possibilità di ulteriori appelli.
Nel suo post si sofferma a lungo su una presunta impossibilità delle comunità rom verso una inclusione supportando la tesi con quello che lei chiama il «rifiuto del concetto stesso di vita stanziale» da parte dei rom. Affermando ciò lei non fa altro che rafforzare uno stereotipo evidentemente ancora persistente nell’immaginario collettivo ma molto lontano dalla realtà. Secondo i dati raccolti dal “Monitoraggio della società civile sull’attuazione della Strategia Nazionale d’inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti in Italia nel 2012 e 2013”, il nomadismo di queste popolazioni è stimato intorno al 3%, una cifra quindi irrisoria sul totale, ed è legato solo a sporadiche attività lavorative stagionali.
Veniamo ad uno degli ultimi concetti che esprime nel suo testo: «l’abitudine ammessa da loro stessi a vivere alle nostre spalle e confortata da ripetuti episodi di cronaca di vivere a spese nostre […] perché vengono assisti dal nostro Stato con erogazioni a pioggia».
Su tale affermazione riteniamo sia necessario fare un po’ di ordine e le ultime vicende accadute a Roma possono senz’altro aiutarci. Ci riferiamo all’inchiesta della magistratura denominata “Mafia Capitale” (famose ormai le intercettazioni di Salvatore Buzzi che svelano come “migranti e campi rom rendono più della droga”) e l’inchiesta più recente legata allo scambio di tangenti proprio nell’Ufficio Rom del Comune di Roma che ha coinvolto colletti bianchi, politici e cooperative. Un business milionario già denunciato dalla nostra organizzazione nel 2014 con la pubblicazione del report “Campi Nomadi S.P.A.”.
Le diverse inchieste hanno dimostrato l’infondatezza delle sue affermazioni perché le «erogazioni a pioggia» non sono servite per azioni di assistenza o di inclusione ma per andare ad ingrossare le tasche dei tanti attori istituzionali che ruotavano – e tutt’ora ruotano – attorno alla gestione dei “campi” senza investire in quello che, teoricamente, doveva essere lo scopo di quei fondi ossia l’emancipazione dalle condizioni di disagio e povertà in cui, come lei stesso scrive, molti rom vivono.
L’Italia si è tristemente guadagnata l’appellativo de “il paese dei campi”, l’unico in Europa a finanziare con soldi pubblici soluzioni abitative segreganti e non adeguate agli standard internazionali in materia di diritto all’alloggio. E questo non certo per scelta dei rom che vivono nel nostro Paese.
Cordialmente