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In sette rullini il diario di viaggio e di vita di Eyad Abou Kasem

Gli scatti del fotografo siriano rifugiato in Germania raccontano «sentimenti contrastanti e un futuro nebbioso»

Fino al 17 dicembre, è possibile prender visione di quello che è un vero e proprio diario personale che si basa sull’esperienza diretta del fotografo siriano Eyad Abou Kasem e del suo viaggio fino al campo profughi di Würzburg, in Baviera dove gli è stato assegnato un posto a seguito della richiesta di asilo. Qui è giunto dopo essere partito da Damasco, aver attraversato la Turchia e via mare la Grecia per passare attraverso i Balcani e arrivare in Germania. Un viaggio durante il quale si è portato una piccola macchina fotografica e 7 rullini di pellicola in bianco e nero che ora restituiscono i luoghi  degli spostamenti ma anche quelli attraversati dalla mente e dai sentimenti intensi di chi si trova a vivere il momento di “sospensione” della vita all’interno di un campo rifugiati.

Questo lavoro rientra nel progetto Emerging Talents, coordinato dall’associazione  Culturale PhotoTales in cui sono stati selezionati i lavori di giovani fotografi emergenti attraverso mostre dedicate.

Fino a metà dicembre sarà possibile assistere ad un programma ricco di eventi, esposizioni e proiezioni sull’arte della fotografia ad ampio raggio. Nello specifico si può intraprendere un viaggio iconografico allo spazio Factory del Macro – Museo d’arte contemporanea di Roma tra scatti inediti che offrono un racconto particolare sulle migrazioni e sulla contemporaneità.

«Quando sono arrivato in Germania – ha dichiarato Eyad Abou Kasem ad Avvenire ho fatto le fotografie con una piccola fotocamera digitale. È una sorta di diario fotografico in cui cerco di mostrare cosa accade nella mia mente. È un modo per descrivere i miei sentimenti rispetto alla situazione in cui mi sono trovato come un nuovo rifugiato, che riflette l’esperienza complessiva dei rifugiati. Lasciare il mio paese in guerra per venire a vivere in un campo profughi mi riempie di sentimenti contrastanti che non ho mai provato prima. Questi sentimenti sono inquietanti e gravano pesantemente e talvolta sono anche assurdi, partono da qualcosa di piccolo o da questa condizione sconvolgente dove mi ritrovo, arrivando al mio futuro nebbioso».

Insieme ai suoi sono stati selezionati anche gli scatti dei fotografi Samuel Gratacap e Alessio Cupelli. La panoramica sul tema delle migrazioni comprende dunque aspetti molteplici. Gratacap, infatti, ha lavorato come inviato di Le Monde nei campi profughi di Choucha in Tunisia dal 2012 al 2014, in una zona tanto dimenticata e con un modo di impostare il lavoro così particolare che il suo  progetto Empire  è stato definito di “migrazioni metafisiche”: né luoghi, né persone sembrano infatti essere reali.

Cupelli invece utilizza la fotografia documentaria più vicino al fotogiornalismo, si è concentrato il progetto Nadab sul tema della diaspora dei migranti a partire dal ottobre del 2015, nel momento più caldo della rotta balcanica.

L’immagine in evidenza è tratta dal sito www.avvenire.it ed è di Eyad Abou Kasem

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