Secondo i dati, in Italia, sono 72mila i nuovi nati di origine straniera, mentre ammontano a 10,9 miliardi i contributi previdenziali versati, anche se solo lo 0,3% è beneficiario di trattamento pensionistico
“I migranti forzati nel 2015 sono risultati essere 65,3 milioni tra richiedenti asilo, rifugiati, un picco mai raggiunto in precedenza: tra costoro sono 21,3 milioni i rifugiati e 3,2 milioni i richiedenti asilo in attesa di una decisione sulla loro domanda. In Italia sono 5.026.153 i cittadini stranieri residenti sul suo territorio (Istat). L’allarmismo numeri non sussiste perché rispetto alla fine del 2015 gli stranieri residenti in Italia sono aumentati di appena 12mila unità. Secondo il Fondo Monetario Internazionale una strategia di inserimento più aperta e non discriminatorio può contribuire alla ripresa economica” sono alcuni tra i dati elencati nel Dossier statistico immigrazione Idos 2016 e sono un punto di partenza e riflessione sulla presenza straniera in Italia.
Il dossier è stato realizzato con la rivista Confronti, in collaborazione con Unar e con il sostegno dei fondi dell’otto per mille della Chiesa Valdese. Ed è il rappresentante della Tavola Valdese Paolo Naso ad entrare nel merito «il dossier è gemello dei corridoi umanitari, unico esperimenti pilota per una diversa gestione dei flussi». La soluzione dei corridoi sembra essere auspicata anche da Domenico Manzione, sottosegretario all’interno «il brulicare di navi nel Mediterraneo non mi sembra una risposta strutturale alla questione della migrazione, invece vedo come soluzione realistica quella dei corridoi umanitari». Lo ribadisce Ugo Melchionda, presidente del centro studi e ricerche Idos, «abbiamo bisogno di disegno d’integrazione, non solo per i migranti ma per la società italiana nel suo complesso». Lingua e lavoro sono i due cardini fondamentali intorno ai quali per Luigi Bobba, vicepresidente della commissione lavoro della Camera dei deputati, si articola la concretezza dell’integrazione «affinché non resti più soltanto una parola».
Media e migrazione, cos’è cambiato dal 2006?
Tra i focus di approfondimento si trova il giornalismo multiculturale e la rappresentazione della migrazione sui media. La prima ed unica indagine sui media culturali in Italia è stata realizzata nel 2006 ed aveva individuato 146 tra giornali, radio e TV rivolti direttamente ad un pubblico di migranti, spesso realizzati anche da operatori di origine straniera. 10 anni dopo sono sopravvissuti solo 9 giornali su 63 e 2 Tv su 24. Anna Meli, che già nel 2007 raccontò con Marcello Maneri il fenomeno nel saggio Un diverso parlare, di fronte ad una decrescita tale dei media culturali, ha evidenziato, così come riportato nel dossier, che «il settore dell’editoria sta attraversando un momento di forte crisi. Anche il fenomeno migratorio è cambiato molto e soprattutto negli ultimi 5 anni si è assistito ad un’attenzione mediatica crescente rispetto ai nuovi arrivi e alla nuova composizione dei flussi, con un aumento dei richiedenti asilo rispetto alla migrazione economica che arrivava attraverso i decreti flussi e i ricongiungimenti […] a resistere sono state quelle testate che avevano organizzato economicamente e in modo sinergico la raccolta pubblicitaria e che avevano mantenuto un legame forte con le comunità linguistiche a cui si rivolgevano». Tra le scelte concrete da portare avanti, il dossier cita in seguito la voce di Alessia Giannoni del Cospe «l’obiettivo è promuovere nuove azioni a sostegno della diversità culturale nei media. Non solo nella direzione dei media multiculturali ma anche nei media a larga diffusione, dove ancora il diversity managment è pressoché sconosciuto».
La combinazione dei fattori enunciati determina una presenza della migrazione nei media in cui domina, secondo il dossier, una sorta di “fotografia nero su bianco, dominata dai toni cupi dell’emergenza, della paura e del dolore”, in cui i migranti sono vittime o criminali”. Se dunque il fenomeno migratorio è da intendersi strutturale e non emergenziale, “il giornalismo è chiamato ad assumersi le responsabilità del caso, pretendendo con coraggio di sviluppare un discorso autonomo, così da incidere sulla realtà indipendentemente dalla politica”.
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