Nessuno ruolo di fattore di attrazione o contributo all’aumento dei morti in mare, le ong non hanno nessuna di queste responsabilità, lo dicono i fatti, analizzati dal rapporto Blaming the Rescuers – Accusare i soccorritori
Di Piera F. Mastantuono
Gli sforzi delle organizzazioni non governative (ong) per salvare i migranti nel Mediterraneo non fanno aumentare il numero di traversate né le rendono più rischiose è una delle conclusioni scaturite dell’indagine condotta dai ricercatori del Goldsmiths College, Università di Londra, e presentata all’Associazione Stampa Estera il 9 giugno.
Il rapporto “Blaming the Rescuers – Accusare i soccorritori” è stato presentato da Nancy Porsia, giornalista freelance che ha curato l’analisi delle reti di trafficanti libici, Charles Heller e Lorenzo Pezzani, fondatori del progetto Forensic Oceanography (parte dell’agenzia di Architettura Forense) di Goldsmiths.
I ricercatori hanno analizzato le accuse mosse da diversi attori, tra i quali l’agenzia Frontex, e politici europei secondo cui le attività di Sar (search and rescue) sarebbero un pull factor (fattore di attrazione) rispetto agli arrivi via mare poiché incoraggerebbero gli scafisti a ricorrere a tattiche e imbarcazioni più rischiose, di fatto aumentando il numero delle vittime in mare.
Tuttavia, come sottolinea anche il fatto che le traversate dal Marocco hanno registrato fra il 2015 e il 2016 un aumento del 46% nonostante la totale assenza di ong impegnate in operazioni SAR nell’area, non è stato dimostrato alcun ruolo di pull factor da parte delle ong.
La crisi diffusa e la necessità d’interrompere il business degli scafisti
Lorenzo Pezzani di Goldsmiths afferma: «Le argomentazioni contro le ong ignorano il peggioramento delle crisi economiche e politiche che colpiscono numerose regioni dell’Africa e che sono tra le molte cause dell’incremento delle traversate nel 2016. In Libia, i migranti sono vittime di violenza estrema e sono disposti a tentare la traversata con o senza la presenza di attività di ricerca e soccorso».
L’analisi di Nancy Porsia si è focalizzata sul ruolo della Libia in questo contesto: «Quella libica è l’economia più florida nel panorama africano ma è un sistema falsato. Gheddafi ha sempre parlato d’invasione dei migranti per ottenere più potere nei tavoli internazionali sul tema. Il fatto che oggi al mercato nero del cambio un euro valga 9 dinari (valuta libica), invece che 1.7 come sarebbe al legittimo cambio, è sintomo di un paese in enorme crisi, innanzitutto economica. Questo tipo di sistema attira chi intende sfruttarlo, primi tra tutti gli scafisti».
«I fattori principali all’origine di una maggiore pericolosità delle traversate sono la crescita di un modello di tratta gestito dalle milizie libiche e gli effetti dell’operazione dell’Unione Europea di contrasto agli scafisti, nel corso delle quali sono state distrutte molte imbarcazioni di legno di grandi dimensioni – ha affermato Charles Heller di Goldsmiths – Le ong non hanno provocato l’aumento nei rischi. Al contrario, salvando vite umane hanno risposto a una situazione che altri avevano già creato prima del loro arrivo. La nostra analisi dimostra che una maggiore presenza di ong ha significato rischi minori per i migranti».
«Siamo convinti che la narrazione tossica che accusa ingiustamente le ong impegnate in attività di ricerca e soccorso per l’aumento della pericolosità delle traversate sia parte di un tentativo più ampio di criminalizzazione delle iniziative di solidarietà verso i migranti», ha affermato Lorenzo Pezzani di Goldsmiths.
Per interrompere il business degli scafisti è necessario innanzitutto un nuovo orientamento delle politiche europee sulla migrazione per garantire un passaggio legale e sicuro ai migranti.
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