Cari tutti, le lingue si evolvono e cambiano nel tempo. Il linguaggio e la terminologia che usiamo ad Al Jazeera non fanno eccezione. Così pure le nostre linee guida, continuamente soggette a modifiche e migliorie, man mano che le situazioni cambiano. Il nostro lavoro – come giornalisti – è di aiutare le persone a comprendere le notizie attraverso il linguaggio più appropriato. Ecco gli ultimi due principali cambiamenti che abbiamo deciso di adottare, in seguito a lunghe discussioni, questa settimana: D’ora in poi non useremo più la parola migrant come termine “ombrello” per definire l’incessante agonia delle persone che abbandonano i loro paesi riversandosi in Europa o in Occidente – via terra, via mare o in aereo. Questa parola si è evoluta, rispetto alla sua definizione da vocabolario, in uno strumento che riesce a deumanizzare le centinaia di migliaia di persone in fuga dalla miseria e dalla guerra. Descrivere queste persone come migrants equivale ad assecondare le linee d’azione dei governi europei o il “racconto” ufficiale. Siamo dunque d’accordo sull’uso del termine refugee – legalmente e eticamente più corretto per quei paesi che ricevono coloro che non hanno avuto altra possibilità se non quella di abbandonare le proprie case. Chiaramente, il termine migrant – applicabile, piuttosto, a coloro che hanno la scelta di cercare una vita migliore altrove – ha acquisito un valore peggiorativo in gran parte dell’Occidente e non è più idoneo a riflettere la realtà di oggi. In modo simile, cercando di spiegare un’altra complessa questione in modo semplice, ma accurato agli ascoltatori, faremo a meno del termine sex worker e torneremo a usare le definizioni prostitute e forced prostitution, a seconda del contesto e dei fatti. Sex worker è un’altro “termine ufficiale improvvisato” che non ha legami con la realtà. Confido nel fatto che noi tutti siamo d’accordo su ciò in cui il nostro lavoro consiste: nell’indagare sulle azioni di coloro che si trovano al potere. Modificare il nostro linguaggio per sfidare ciò che è percepito come prassi ne è parte integrante. Output Department News Directorate – English Channel – Al Jazeera Media Network
Cari tutti,
le lingue si evolvono e cambiano nel tempo. Il linguaggio e la terminologia che usiamo ad Al Jazeera non fanno eccezione. Così pure le nostre linee guida, continuamente soggette a modifiche e migliorie, man mano che le situazioni cambiano. Il nostro lavoro – come giornalisti – è di aiutare le persone a comprendere le notizie attraverso il linguaggio più appropriato.
Ecco gli ultimi due principali cambiamenti che abbiamo deciso di adottare, in seguito a lunghe discussioni, questa settimana:
Confido nel fatto che noi tutti siamo d’accordo su ciò in cui il nostro lavoro consiste: nell’indagare sulle azioni di coloro che si trovano al potere. Modificare il nostro linguaggio per sfidare ciò che è percepito come prassi ne è parte integrante.
Output Department News Directorate – English Channel – Al Jazeera Media Network
È questa l’email diffusa il 19 agosto da Al Jazeera English tra i suoi dipendenti e collaboratori. «Terminology – Migrants vs Refugees and more», l’oggetto del messaggio col quale si comunica che verrà abbandonato il termine generico migrant/migrants in favore di refugee/refugees.
Sull’evoluzione di migrant, da termine neutrale a definizione carica di accezioni negative, aveva scritto pochi giorni prima Stephen Pritchard sul Guardian: «Quest’anno, dopo aver pubblicato un intenso resoconto della tragedia dei rifugiati che fuggono attraverso il Mediterraneo siamo stati messi in guardia da un rappresentante di Rosa, organizzazione che aiuta le donne nel Regno Unito, sul fatto che il termine migrant debba essere usato con cura. È divenuto carico di connotazioni negative, offrendo sostegno a una politica che cerca di scoraggiare la simpatia verso coloro che affrontano la disperata – e spesso mortale – traversata verso una nuova vita. Quando sappiamo che scappano da guerra e persecuzione (qualcosa che non è mai semplice da stabilire) dovremmo chiamarli “rifugiati”». Il Guardian osserva che, nel processo che ha visto mutare migrant è venuta meno la rivendicazione della neutralità del termine. A sottolinearlo è Robert McNeil, del Migration Observatory dell’Università di Oxford, il quale riconosce in migrant un’etichetta negativa, «soprattutto nel vocabolario dei tabloid».
All’indomani dell’invio della nota sulla terminologia da adottare, Al Jazeera English rende pubbliche attraverso il suo blog le motivazioni che hanno condotto a questa scelta: «Non sono centinaia di persone quelle che annegano quando una barca affonda nel Mediterraneo, neppure centinaia di rifugiati – scrive Berry Malone – Sono centinaia di migranti». Le morti dei migranti, spiega Malone non valgono per i media quanto le altre, così come le loro vite. Sono numeri. «Quando applichiamo una terminologia riduttiva alle persone», prosegue il giornalista, i media contribuiscono a creare un ambiente fertile per «l’hate speech e il razzismo». Anche attraverso il suo blog, Al Jazeera English ribadisce la volontà di non voler assecondare alcuni atteggiamenti politici: «Diventiamo complici dei governi che hanno ragioni politiche per non chiamare coloro che annegano nel Mediterraneo per quello che la maggior parte di loro sono: rifugiati. Diamo peso a coloro che vogliono vedere in loro solo migranti economici».
La notizia dell’abbandono di migrant da parte di Al Jazeera English è stata riportata in Italia dall’Ansa e ripresa da diverse testate, suscitando un certo interesse. Sembra essere stato male interpretato, tuttavia, un punto fondamentale: Al Jazeera non sostituisce migrant con il generico profugo (che in inglese potremmo rendere con displaced person), bensì con refugee, rifugiato. La decisione del canale di notizie internazionale ruota proprio intorno alla necessità di evitare termini generici preferendo a essi il ben definito rifugiato.
Dal nostro glossario: «La definizione del termine rifugiato si trova nella Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati, di cui l’Italia è uno dei 147 Paesi che l’hanno firmata. Nell’articolo 1 della Convenzione il rifugiato viene definito come una persona che: “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale od opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui ha la cittadinanza, e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale paese”. Lo status di rifugiato viene quindi riconosciuto alle persone che si trovano nella condizione prevista dalla Convenzione, cioè a chi ha un ragionevole timore di poter essere, in caso di rimpatrio, vittima di persecuzione […]».
Diversa, invece, la definizione di profugo, che indica genericamente coloro che sono costretti ad abbandonare il proprio paese a causa di guerre, persecuzioni, o disastri naturali (anche se in quest’ultimo caso è preferibile sfollati). Senza contare che il termine profughi sta subendo un destino simile a quello di migrants: ormai utilizzato per indicare chiunque arrivi in Italia privo di documenti regolari dall’Africa o dall’Asia, viene spesso associato a una massa indistinta di persone, allontanandosi purtroppo dal suo significato originale.
Pensateci: quanto spesso incontrate la parola profugo, ossia la versione singolare del sostantivo? A essere usata è quasi sempre la sua forma plurale; per riferirsi alle storie dei singoli sono solitamente preferiti richiedente asilo o rifugiato. Il ricorso eccessivo a profughi e l’utilizzo fuorviante che talvolta ne viene fatto da media e politici, fanno sì che spesso sia associata a esso l’idea ancor più generica – sebbene in disaccordo con la definizione del vocabolario – di migranti irregolari. I risultati consistono nella lenta insinuazione di un’accezione negativa, nella confusione crescente tra lettori e ascoltatori e nel costante riferimento alla massa e non alle persone.
Esattamente ciò che Al Jazeera vuole evitare scegliendo rifugiati.
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