Porto di Pozzallo. Dopo poche ore dall’arrivo sulla terraferma, un migrante in fuga dal suo paese muore. Agli scafisti, arrestati, è addossata la responsabilità del decesso ed è aperta un’inchiesta.
È accaduto il 7 maggio, quando un giovane eritreo ha perso la vita. Le cause non sono state ancora accertate, ma le forze dell’ordine dichiarano che l’uomo possa essere morto di stenti a causa delle difficili condizioni di viaggio. La notizia è stata ripresa da numerose pagine di cronaca e dalle principali testate online, complice una voce non confermata secondo la quale la morte potrebbe essere stata causata da lesioni inferte durante il viaggio in barca o prima della partenza.
Questa storia, forse, vi avrà ricordato un altro caso.
L’11 aprile, poco dopo il suo arrivo nel porto di Pozzallo, moriva in ospedale un ragazzo del Mali. La dinamica era molto simile: il decesso avvenuto dopo poche ore dall’arrivo al quale aveva fatto seguito l’arresto degli scafisti, considerati responsabili anche per la morte dell’uomo. Veniva aperta un’inchiesta e dichiarato dalle autorità che il decesso poteva essere stato una conseguenza delle condizioni di viaggio e di detenzione di cui il giovane era stato vittima. Come di prassi era richiesta l’autopsia.
Questa vicenda, tuttavia, è più nota per essere stata riportata come il primo caso di ebola in Italia. Notizia infondata che, per giorni e giorni, nonostante il ministero della Salute fosse intervenuto per smentirla più volte, ha fatto il giro del web ed è stata pubblicata da numerosi giornali per rincarare la dose di xenofobia degli italiani. L’Associazione Carta di Roma è intervenuta sul caso con un commento pubblicato il 23 aprile: l’allarme ebola continuava a diffondersi sebbene il Ministero affermasse che il rischio di diffusione del virus in Italia fosse nullo anche a causa del lavoro svolto dai media.
Nullo è stato anche il seguito dato a questa storia. Di virus ebola non si parla più negli stessi termini – per fortuna. Siamo già passati all’epidemia successiva, ovviamente. La fine dell’allarme ebola significa, oggi, leggere di un migrante morto per «possibile omicidio» e non di una pericolosa fonte di contagio: stessa località, simile dinamica, ma il virus ebola appare superato per la stampa. E la morte precedente su cui si era ricamato tanto sopra finisce nel dimenticatoio. Molti hanno descritto il caso del 7 maggio, ma la grande somiglianza con l’episodio di aprile non è stata sufficiente per tornare a parlarne, per provare a fare finalmente chiarezza – ora che i media hanno superato la fase ebola – su una questione che solo venti giorni fa da molti era considerata di primaria importanza.
Certe storie esauriscono la loro funzione in pochi giorni, poi vengono semplicemente dimenticate.
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