Di Anna Meli
Un sondaggio svolto dal Pew Research Centre alla vigilia delle elezioni europee del maggio 2014 indicava nella Grecia il paese con il sentimento più sfavorevole nei confronti degli ebrei, seguito da Polonia e Italia. Il sondaggio evidenziava come i paesi con una popolazione ebrea maggiore, come la Francia e il Regno Unito, tendono a vedere gli ebrei con maggior favore, mentre il primato del minor numero di opinioni contrarie spettava alla Germania.
In pochi mesi lo scenario potrebbe essere mutato.
Movimenti xenofobi agitano tutti i paesi europei, inclusa la Germania, dove Pegida preoccupa pure la cancelliera Merkel. Il movimento “Patrioti europei contro l’islamizzazione dei paesi occidentali” nasce nell’ottobre del 2014 a Dresda, capitale della Sassonia dove i musulmani sono solo 4mila, lo 0,1% della popolazione, molto meno della media nazionale (5%). In Francia, all’indomani dei drammatici eventi di Parigi, si è parlato di un numero crescente di ebrei che lasciano il paese. Il 20 gennaio scorso l’Assemblea delle Nazioni Unite ha convocato una riunione informale sull’aumento della violenza antisemita in tutto il mondo.
In Italia la responsabile dell’Osservatorio antisemitismo del Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano, Betty Guetta, conferma questa tendenza generale anche nel nostro paese ma avverte: «l’antisemitismo non è facilmente misurabile e prima di misurarlo va definito». Il lavoro di raccolta e analisi dei dati non è semplice ed è necessario prima di tutto fare una distinzione tra un atteggiamento, un pregiudizio, un’antipatia e un’azione. L’osservatorio antisemitismo registra le azioni antisemite.
Quali sono i dati del vostro osservatorio sull’Italia?
«I dati sull’Italia dicono che su una media di una cinquantina di casi annuali abbiamo avuto due picchi nel 2008, anno nel quale siamo arrivati a 70 episodi e nel 2014 dove i casi sono arrivati a 85. Il 2008 è stato l’anno di Piombo Fuso (ndr campagna militare lanciata dall’esercito israeliano verso la Striscia di Gaza) e anche sui dati del 2014 ha inciso la questione israelo-palestinese. In generale moltissimi degli atteggiamenti, delle opinioni e dei messaggi antisemiti viaggiano sul web. Quando si entra in questo territorio virtuale della rete diventa molto difficile quantificare, perché è difficile capire bene quante persone hanno visualizzato quel post o se ad esempio è la stessa persona che scrive cose diverse. Fare una statistica su quello che esce sui social network è estremamente complicato.
Molti dei casi registrati in Italia consistono in graffiti o in post sui social network. L’incremento di azioni in Italia va dalle scritte di Militia a Roma agli articoli che arrivano sul web. L’aumento, dunque, non riguarda azioni violente quali omicidi e attentati.
L’antenna antisemitismo nasce a settembre 2014 proprio per monitorare meglio il territorio. Fino a poco fa ci eravamo basati prevalentemente sugli articoli, ma oggi chiunque, tramite telefono o pc, può inviarci delle segnalazioni».
Dopo i drammatici eventi di Parigi si è parlato di un numero sempre crescente di ebrei che lasciano la Francia. Anche in Italia avete registrato un aumento di segnalazioni di azioni antisemite tramite il numero verde dell’antenna ?
«Non abbiamo avuto un incremento di segnalazioni nel dopo Parigi, perché i picchi da noi – come accade in altri paesi – sono molto più legati a ciò che succede in Israele. Non a caso l’apice del 2014 è stato nell’estate dal rapimento dei due ragazzini – che poi sono stati uccisi – e l’inizio del conflitto. L’acuirsi del conflitto in Israele e di notizie molto mediatizzate aumentano i casi, che possono andare dall’antipatia verso gli ebrei, completamente associati agli israeliani a vere espressioni di odio. Arrivano spesso insulti indirizzati direttamente alle comunità, ai centri e alle fondazioni ebraiche».
Il vice segretario dell’Onu Jan Eliasson imputa l’antisemitismo e la discriminazione contro i musulmani al “prolungato conflitto tra israeliani e palestinesi che ha contribuito ad acuire sfiducia e falsi stereotipi”. Qual è la sua opinione in proposito? Quale tratto in comune vede (se lo vede) tra antisemitismo e islamofobia?
«Stando alle nostre ricerche vi sono alcuni individui che hanno sia atteggiamenti antisemiti che islamofobici. Questi profili sono definiti come personalità autoritarie, secondo gli studi di Adorno. Chi ha un atteggiamento contro gli ebrei, può averlo anche contro i musulmani, gli zingari, gli immigrati; le personalità che aderiscono agli stereotipi del “diverso da sé” molto spesso hanno qualcosa in comune. Qui però finiscono le somiglianze tra antisemitismo e islamofobia.
La formulazione di Eliasson la trovo, quindi, poco condivisibile perché, mentre l’antisemitismo ha una storia estremamente datata, vecchissima, che periodicamente viene rimessa in circolo per vari motivi – religiosi, ideologici, economici, il pregiudizio verso i musulmani attinge a sentimenti molto più legati al tema dell’immigrazione ed è più recente. L’anti-islamismo, che non è la discriminazione verso i musulmani, non rappresenta un sentimento omogeneo: evoca l’immigrato, il terrorista, il retrogrado. Il pregiudizio che riguarda gli ebrei li vede ricchi, avari, solidali, complottisti, vittimisti, potenti con una doppia identità.
Infine il conflitto arabo-israeliano ha fatto aumentare molto l’antisemitismo, non l’islamofobia».
Quali sono le carenze o i punti di forza dei media italiani rispetto al trattamento del fenomeno dell’antisemitismo in Italia?
«Il danno che si è fatto per anni è quello della generalizzazione, parlando dell’ebreo come se rappresentasse una categoria omogenea, mentre se penso solo all’Italia, dove siamo due gatti, sono tantissimi gli atteggiamenti politici, religiosi, culturali, di provenienza.
Non sono particolarmente critica rispetto ai media italiani, anzi penso che abbiano fatto un salto qualitativo notevole nel corso degli anni. C’è una maggiore attenzione soprattutto rispetto agli anni di Sabra e Chatila o agli anni Ottanta e Novanta in generale. Dipende molto dalla testata e dal giornalista. All’interno della stessa testata si possono trovare articoli più o meno accurati. Trovo che sulla questione dell’antisemitismo sia stata sviluppata una progressiva maggiore attenzione anche se ne parla con la stessa vaghezza con cui si parla di molti altri argomenti. Su questo servirebbe una lunga formazione».
È di pochi giorni fa la notizia della condanna di sei esponenti del gruppo di Militia per apologia del fascismo e violazione della legge Mancino. Dal punto di vista legislativo cosa pensa delle attuali misure di repressione?
«Io sono favorevole alla repressione. La condanna di sei persone legate a Militia è un segnale morale importante. Bisogna iniziare a rendere visibile che non si può accettare sempre l’opinione di chiunque offenda la Shoah, la memoria. Alcuni anni fa ero una fautrice della formazione nelle scuole, ma negli anni mi sono convinta che ci vogliono anche dei segnali forti, come una sentenza di questo tipo. Sono diventata più pessimista sul fatto che solo l’educazione e la formazione possano bastare. Ho trovato significativo, per esempio, l’atteggiamento della Merkel, ovvero una presa di posizione pubblica e politica in cui si dica basta».
L’APPUNTAMENTO – Il 28 gennaio a Roma, presso l’istituto Pitigliani, alle ore 20.30 Pietro Suber e Marco D’Auria presentano il loro documentario “Meditate che questo è stato”, sulla vita di Piero Terracina e Sami Modiano.
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