Nessuna cittadinanza, niente documenti. Essere apolidi significa vivere in un limbo nel quale molti diritti sono negati ed è spesso la conseguenza diretta di discriminazioni su base etnica, religiosa o di genere
Leal è nata in Libano, ma per il suo paese è una “maktoum al quaed”, una persona che non è presente nei registri, un‘apolide. Prima di lei suo padre, anche lui venuto al mondo nel paese dei cedri, non è stato registrato, trasmettendo lo stato di apolide alla figlia.
Una situazione che si sarebbe potuta evitare se il Libano non fosse stato uno dei 27 paesi che ancora oggi negano alle donne di trasmettere la cittadinanza ai figli. Leal, infatti, avrebbe potuto acquisire la cittadinanza libanese da sua madre, in assenza di una tale politica discriminatoria.
Leal, divenuta a sua volta madre, pensa tristemente alle difficoltà che dovranno affrontare i suo bambini, ora di 5 e 10 anni, anche loro apolidi: «Mi sono sposata, ho avuto due bambini, ma non ho potuto registrarli. Così soffrono come ho sofferto io». Il matrimonio del quale Leal parla, infatti, non è stato riconosciuto ufficialmente a causa del suo status giuridico; una condizione che si riversa sui bambini. Come lei, in assenza di documenti, non potranno andare a scuola e lavorare regolarmente, non saranno liberi di muoversi all’interno del paese e di viaggiare. Non potranno ricevere cure mediche in ospedale. «Vorrei per i miei figli una vita migliore della mia, mi piacerebbe che raggiungessero risultati più alti, che studiassero».
Ogni dieci minuti nasce un bambino che sarà apolide
Nel mondo ci sono circa 10 milioni di apolidi, denuncia Unhcr, che promuove la campagna #IBelong affinché si ponga fine entro il 2024 all’esistenza di tale condizione. Ogni dieci minuti nasce un bambino che non avrà documenti e non sarà riconosciuto come cittadino da alcun paese, condannato a vedersi negare molti diritti solo a causa del suo status.
Metter fine all’apolidia significherebbe, inoltre, eliminare quelle discriminazioni che spesso ne sono causa diretta, basate sull’etnia, sulla religione o, come nel caso di Leal, sul genere.