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Apolidia: una violazione dei diritti umani troppo spesso ignorata

di Armando Augello Cupi, Presidente dell’Unione Italiana Apolidi

In un panorama geo-politico complesso come quello di oggi, secondo i dati dell’ultimo Global Trends Report dell’UNHCR, Agenzia ONU per i rifugiati, si contano più di 110 milioni di persone al mondo che sono state costrette a fuggire dalle proprie case per trovare riparo da guerre, violazioni dei diritti umani e persecuzioni. 

Un ulteriore dato in costante crescita non è solo quello dei rifugiati ma anche quello degli apolidi che ad oggi, secondo i dati a disposizione di UNHCR, arrivano ad oltre 4.4 milioni nel mondo e sono considerati dei veri e propri fantasmi.

La definizione di apolide trova il suo spazio all’interno della Convenzione relativa allo status degli apolidi, redatta nel 1954 dalle Nazioni Unite. La nascita di questo trattato era necessaria specialmente nel periodo post Seconda Guerra Mondiale in cui numerose erano le persone che avevano perso la cittadinanza. In aggiunta a questo, la categoria di individui definiti come apolidi non era stata inclusa dalle Nazioni Unite nella precedente Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951 e ciò escludeva gli “invisibili” dal poter richiedere la protezione internazionale in quanti tali e godere dei diritti umani fondamentali. In virtù di ciò, la prima volta che la definizione di apolide prende forma, lo fa all’interno della Convenzione del 1954 in cui l’apolide viene inquadrato in un trattato internazionale come “un individuo non riconosciuto come cittadino da nessuno Stato in base all’applicazione della sua legge”.

Le cause che possono portare all’apolidia sono molteplici: per causa ereditaria, mancata registrazione alla nascita, cambiamento climatico (l’innalzamento degli oceani rischia per esempio di far scomparire interi territori), discriminazione nelle leggi di alcuni Stati, dissoluzione di uno Stato che ha dato origine a nuovi Stati (per esempio l’ex Jugoslavia), minoranze etniche non riconosciute come tali dal proprio Paese, ecc. 

Teniamo in considerazione che l’assenza di una cittadinanza impedisce ad un individuo di avere un documento e di conseguenza nega l’accesso al welfare di uno Stato, a cure mediche, all’educazione ed al lavoro. L’Italia conta, secondo i dati ISTAT, 621 persone che, al campo cittadinanza del loro permesso di soggiorno, sono riconosciute con lo status di apolide. A fronte del numero precedentemente menzionato, il dato reale degli apolidi in Italia è sicuramente maggiore, con stime che indicano più di 3.000 persone invisibili che non sono riuscite ad ottenere il riconoscimento di questo status e che vivono in condizioni di estrema marginalizzazione.

Un problema intersezionale come questo può trovare una soluzione soltanto attraverso l’impegno dei singoli Stati nel garantire l’accesso alla cittadinanza in tempi rapidi ed evitando procedure troppo restrittive nei confronti dei richiedenti.

Il 4 novembre 2014 l’UNHCR ha lanciato la campagna #iBelong per mettere fine al problema dell’apolidia in 10 anni. L’apolidia è un limbo devastante per milioni di persone al mondo che non si vedono riconosciuta la cittadinanza da nessuno stato.

Per maggiori informazioni sulla campagna #iBelong: https://www.unhcr.org/it/cosa-facciamo/la-nostra-voce/ibelong/

Per maggiori informazioni sul lavoro di UNHCR per la riduzione dell’apolidia: https://www.unhcr.org/it/cosa-facciamo/riduzione-dellapolidia/

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