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Attivismo e partecipazione, l’Africa di cui non si parla abbastanza

Il percorso auspicato da anni – comunicare l’Africa non solo in relazione a crisi, conflitti e povertà e considerarla finalmente uno dei contesti sociali, culturali ed economici del nostro tempo – è stato raggiunto dai media italiani? E ancora gli eventi che avvengono nel contesto africano o che coinvolgono persone africane e afro-discendenti riescono a imporsi nell’agenda media? È difficile dare una risposta netta, anche in ragione del fatto che i due processi non sono alternativi tra loro.

Il Rapporto Africa Mediata, giunto alla quinta edizione suggerisce che si siano verificati entrambi.

 

Da una parte, il Rapporto rileva una continuità, che rimane tale dal 2020 a oggi: la marginalità della comunicazione sull’Africa e sulle persone africane e afro-discendenti nell’informazione mainstream; dall’altra parte, il Rapporto rileva la presenza di immagini e storie dell’Africa alternative rispetto al volto piuttosto monolitico che domina nell’informazione.

L’attivismo africano al centro della parte qualitativa nell’edizione del 2024 evoca una serie di concetti interessanti: prima di tutto l’attività che si contrappone alla passività, quindi un’Africa vista non come destinataria passiva di aiuti e soluzioni che arrivano dall’esterno, ma soggetto attivo in movimento; poi altre dimensioni positive come l’autonomia, ossia la ricerca indipendente di soluzioni ai problemi regionali specifici e anche le risposte africane a preoccupazioni condivise a livello globale, come ad esempio la questione ambientale o i conflitti in corso al di fuori dell’Africa. Inoltre l’attivismo rimanda all’impegno civile, alla capacità di fare rete e di nutrire la vita associativa, e ad altre dimensioni in parte sovrapponibili al concetto di innovazione trattato lo scorso anno: la creatività, la progettualità, la spinta al cambiamento. L’attenzione privilegiata alla componente femminile del fenomeno permette poi di mettere in evidenza il ruolo delle donne nelle battaglie civili e nel fermento culturale che attraversano le società africane.

Guardando all’anno appena trascorso, resta però la sensazione di un’occasione mancata o non colta appieno da parte dell’informazione. 2 notizie su 3 delle prime pagine dei quotidiani sono ambientate in Italia o nel contesto occidentale; nei telegiornali, nonostante l’incremento significativo di notizie relative all’Africa, prevale l’attenzione all’Africa “qui”, con al centro flussi migratori e questioni politiche.

Occasione mancata anche perché la maggiore copertura di alcuni contesti africani – a seguito di motivazioni e scelte interne – si è tradotta più in estenuanti discussioni televisive tra politici, esperti di varia natura e opinionisti italiani sulla questione migratoria che non in interviste e approfondimenti dai paesi direttamente implicati.

Il resto l’ha fatto un’abitudine piuttosto radicata nell’informazione: considerare l’Africa come oggetto e non soggetto del discorso. Un vero peccato, visto che nei pochi casi in cui lo sguardo africano – nel caso specifico quello degli attivisti – è riuscito a penetrare e ad esprimersi, ha offerto spunti interessanti, utili a destabilizzare i nostri cliché.

Paola Barretta

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