di Annalisa Camilli su Internazionale
Il 15 luglio la camera dei deputati ha approvato la delibera che autorizza e proroga le missioni militari italiane all’estero. Tra queste c’è anche quella che permette il finanziamento della cosiddetta guardia costiera libica e dei centri di detenzione per stranieri nel paese nordafricano in cui secondo l’alto commissario delle Nazioni Unite ai diritti umani sono stati documentati “inimmaginabili orrori”.
Nello stesso giorno Amnesty international ha pubblicato un nuovo rapporto – Nessuno ti cercherà: il ritorno forzato dal mare alla detenzione arbitraria in Libia – che raccoglie testimonianze di violazioni e abusi nei centri di detenzione libici nei primi sei mesi del 2021, comprese violenze sessuali contro uomini, donne e bambini intercettati mentre attraversano il Mediterraneo e rinviati con la forza nei centri in Libia.
Il rapporto ha anche rilevato che dalla fine del 2020 la Direzione per la lotta alla migrazione illegale (Dcim), un dipartimento del ministero dell’interno libico, ha legittimato gli abusi aggiungendo al suo controllo due nuovi centri di detenzione. In uno dei due centri i sopravvissuti hanno raccontato che le guardie hanno violentato le donne costringendole a fare sesso in cambio di cibo o della libertà.
Anche Oxfam ha aggiornato il suo rapporto sulle spese militari dell’Italia in Libia, rilevando che nel 2021 sono cresciuti di mezzo milione di euro i finanziamenti destinati al blocco dei flussi migratori. “Da 10 milioni nel 2020 a 10,5 nel 2021. In totale sono 32,6 i milioni destinati alla guardia costiera libica dal 2017; salgono a 271 i milioni spesi dall’Italia per le missioni nel paese nordafricano”, spiega Oxfam.
Rispetto al 2020, anche le risorse destinate alle missioni navali che non prevedono il salvataggio dei migranti in mare sono aumentate: di 17 milioni quelle destinate a Mare sicuro e di 15 milioni quelle per la missione europea Irini. “Dall’inizio del 2021 ci sono state oltre 720 vittime lungo la rotta del Mediterraneo centrale, almeno 7.135 dalla firma dell’accordo tra Italia e Libia nel 2017 e oltre 13mila i migranti che sono stati riportati in Libia”, afferma il rapporto.
Poca trasparenza
Anche l’Arci ha pubblicato un documento in cui denuncia l’operato della cosiddetta guardia costiera libica e le responsabilità dell’Italia e la poca trasparenza negli accordi tra i due paesi. “Che si tratti di accordi, dichiarazioni tra ministri, intese o programmi di attuazione dei vari progetti, la costellazione di misure che formano la cooperazione tra Italia e Libia per il blocco dei flussi migratori nel Mediterraneo centrale è comunque accomunata da una grave mancanza di trasparenza, spesso giustificata dalle autorità italiane in termini di attività ‘di elevata sensibilità istituzionale’, ma che in realtà sembra finalizzata a tenere lontana dal controllo democratico e dall’opinione pubblica la realtà delle misure di esternalizzazione delle frontiere, gravemente lesive dei diritti umani e delle norme costituzionali e internazionali”, scrive.
“Attraverso la consultazione di documenti pubblici sui siti ministeriali, abbiamo cercato di mettere insieme i principali programmi che contribuiscono al supporto delle autorità di frontiera libiche, con cui a oggi l’Italia e l’Unione europea hanno fornito manutenzione e formato gli equipaggi di almeno sei o sette motovedette di proprietà libica e ceduto gratuitamente, oltre alle quattro motovedette risalenti agli accordi del 2009, altre dodici unità navali di proprietà della guardia di finanza e della guardia costiera italiane e venti battelli di nuova costruzione”, continua l’Arci denunciando le azioni documentate di aggressioni contro imbarcazioni di migranti e pescherecci delle motovedette libiche donate dall’Italia.