La ricostruzione di quanto successo a Gorino e perché si tratta una grave questione di razzismo
A cura di Cronache di ordinario razzismo
di Serena Chiodo
Le otto donne e i dodici bambini che erano diretti a Gorino hanno cambiato destinazione. Non per loro autonoma scelta: la decisione è stata presa dal prefetto di Ferrara Michele Tortora, dopo la protesta di un gruppo di residenti nel piccolo paese del ferrarese. «L’ipotesi di ospitare dei profughi a Gorino non è più in agenda. Ha prevalso la tranquillità dell’ordine pubblico, non potevamo certo manganellare le persone», ha dichiarato il Prefetto.
Gorino è una frazione di Goro, paese di quasi 4000 abitanti in provincia di Ferrara, nell’area del delta del Po. Proprio in questa frazione, un’ordinanza prefettizia ha individuato una struttura ricettiva – l’ostello bar dall’evocativo nome ‘Amore e Natura’ – potenzialmente utile per accogliere alcuni cittadini di origine straniera: nello specifico, 12 donne e 8 bambini. L’arrivo delle persone era stato annunciato da tempo, ma la notifica della decisione prefettizia sarebbe arrivata solo nel pomeriggio di ieri, lunedì 24 ottobre. Una presenza, quella delle otto donne e dei dodici bambini in arrivo, evidentemente ingombrante per i 600 residenti: un gruppo di loro, circa 300 persone, ha dapprima bloccato il percorso che avrebbe dovuto seguire il pullman della Prefettura per arrivare in paese, e poi organizzato vere e proprie barricate, chiudendo la strada di accesso e arrivando a impedire alle persone di andare al lavoro. Durante la manifestazione, nessun pescatore – il paese vive soprattutto della pesca delle vongole – sarebbe uscito in mare, e nemmeno i bambini sarebbero andati a scuola.
Dopo la protesta e la successiva decisione del prefetto, le donne e i bambini sono stati trasferiti nei paesi di Comacchio, Fiscaglia e Ferrara. «Il mio primo pensiero va a quelle donne, non oso pensare cosa hanno provato, attraversando il Mediterraneo, andando in pullman fino a Bologna e poi a Gorino e trovandosi infine davanti a quelle barricate», ha dichiarato il prefetto, spiegando che la requisizione dell’ostello Natura e Amore è arrivata a seguito del rifiuto delle diverse strutture ricettive interpellate: «ci sono stati alberghi cui ci siamo rivolti che hanno detto di non aver posto. Già – ha chiosato sarcasticamente Tortora – ci sono orde di turisti che si riversano a novembre in Riviera». Da qui, e dal fatto che «al momento Goro non ospita alcun profugo, rispetto ai circa 800 già presenti nella provincia di Ferrara», la decisione dal “carattere eccezionale e straordinario” di requisire l’ostello, ritenendo che “non fosse particolarmente frequentato d’inverno”. «Non mi aspettavo una reazione del genere e l’ho trovata sconcertante», ha commentato Tortora.
Molto più duro il Prefetto Mario Morcone, capo del dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione presso il ministero dell’interno: «gli italiani che rifiutano l’aiuto doveroso a donne e bambini sono ottusi, mi vergogno di averli come connazionali. Se non vogliono vivere nello stesso posto dove diamo accoglienza ai profughi andassero a vivere in Ungheria. Noi staremo meglio senza di loro».
Polemiche politiche e strumentalizzazioni
Diverse le reazioni politiche. Mentre il ministro dell’Interno Alfano parla di un episodio «che non fa onore al nostro Paese», affermando che «quello che è accaduto non è lo specchio dell’Italia», la Lega Nord plaude ai cittadini di Gorino, definendoli «i nuovi eroi della resistenza contro la dittatura dell’accoglienza», nelle parole di Alan Fabbri, segretario della Lega Nord del capoluogo estense.
I residenti
«Nessuno ci ha detto niente. Con un preavviso di un’ora vogliono requisire l’unico luogo di ritrovo del paese. Hanno detto che sono venti donne: ma non si sa chi sono. Abbiamo tre strade in tutto, cosa devono fare a Gorino, come passano il tempo? A fare delinquenza e basta?». Così una signora intervistata da La Repubblica mentre prende parte alle barricate che hanno impedito l’accesso delle donne e dei loro bambini. «Non è una questione di razzismo. Se ci avvisavano per tempo, magari. Inoltre, quello è l’unico ostello, e l’unico luogo di ritrovo del paese». «Noi qua siamo tutte donne, spesso sole, perché i nostri mariti pescano. – fa eco un’altra signora – Queste donne che arrivano, avranno anche dei compagni. È anche questo che ci fa paura. Questo non è un paese ricettivo, che da sostegno alle persone. Io non ho lavoro: perché a me nessuno chiede stai bene, hai bisogno? Loro sì, noi no. Sono esseri umani, per carità, però un conto l’accoglienza, un conto l’invasione», afferma un uomo.
Sono solo alcune delle voci che arrivano da Gorino. Voci che fanno emergere aspetti diversi legati al fenomeno migratorio che da tempo sta coinvolgendo il nostro paese.
Da una parte c’è la gestione prefettizia, ed emergenziale, dell’accoglienza: una conduzione che, come detto più volte, non collima con le necessità dei territori. Servirebbe una gestione concordata con le amministrazioni locali e le organizzazioni della società civile, in modo da dare vita a virtuosi percorsi di inclusione: un lavoro di mediazione e programmazione che presuppone l’abbandono dell’approccio emergenziale. Ma se le amministrazioni locali, sulla base di una più o (molto spesso) meno spontanea pressione dei cittadini, continuano a rifiutarsi di partecipare alla programmazione dei servizi di accoglienza e di aderire allo Sprar, il circolo vizioso dell’accoglienza è destinato a riprodursi all’infinito.
Dall’altra parte, le voci dei residenti ci parlano di una radicalizzazione della xenofobia che coinvolge molta parte del nostro paese, nonostante il ministro Alfano affermi il contrario. Le barricate contro donne e bambini, per giunta così pochi numericamente parlando, sono un fatto grave, ma non isolato a Gorino.
Le proteste, le rivolte di quartiere, le sassaiole e anche gli attacchi incendiari in occasione dell’apertura di centri di accoglienza sono state diverse nelle grandi città come nei piccoli paesi di provincia. Basta solo ricordare tra i fatti più recenti quelli di Tor Sapienza, di Marino e di San Nicola a Roma, le proteste agostane di Capalbio, la raccolta di firme di Settimo Vittone nel torinese. Poi ci sono le violenze fisiche contro i richiedenti asilo, di cui il tremendo omicidio di Fermo del 4 luglio costituisce solo l’esempio più grave.
È inutile che i residenti, in questo caso di Gorino, si affrettino a dire che il razzismo non c’entra: è invece proprio questo a parlare. Lo si ascolta nelle urla “Non frega un c… che è incinta, portatela a casa del prefetto” (video), con cui un manifestante risponde al carabiniere che prova a spiegare la situazione. Lo si sente nelle grida di giubilo che coprono il “non è una questione di razzismo” con cui un manifestante fa seguire l’esultanza di un “abbiamo vinto noi”. Noi e Loro. Ancora una volta.
I migranti: cittadini fantasmi?
Come in altri casi anche nella squallida vicenda di Gorino e nelle sue rappresentazioni mediatiche c’è un’assenza ingombrante: quella delle donne migranti. Portate da Bologna a Gorino, con i pullman prefettizi, si sono trovate davanti urla e barricate, e quindi sono state trasferite e smistate, come pacchi, altrove. Non hanno avuto voce né la possibilità di spiegare cosa le ha spinte a provare a vivere in un paese diverso dal proprio. Provengono da Nigeria, Nuova Guinea e Costa d’Avorio: paesi che non si distinguono per la garanzia dei diritti umani (per un approfondimento, si veda qui). Cosa avranno pensato queste donne quando da Bologna sono state portate a Gorino, paese che probabilmente non avevano mai sentito nominare prima? Cosa si saranno dette quando, di fronte alle barricate dei residenti, sono state portate in Questura, ad attendere che qualcun altro decidesse per loro? Avranno avuto paura o no degli uomini e delle donne che non hanno voluto né loro, né i loro bambini?
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