A cura di Max Mauro
Di quale paese parla Arrigo Sacchi? Non ne avesse già abbastanza, il tribolato mondo del calcio italiano deve ora fare i conti anche con le dichiarazioni psichedeliche dell’ex allenatore della nazionale italiana e del Milan, Arrigo Sacchi.
Dopo aver assistito al torneo di Viareggio, che raccoglie le migliori squadre primavera, ha dichiarato alla stampa: «L’Italia è senza dignità, non ha orgoglio: non è possibile vedere squadre con 15 giocatori stranieri. A guardare il Torneo di Viareggio mi viene da dire che nel nostro vivaio ci sono troppi giocatori di colore, anche nelle squadre Primavera. Non sono certo razzista, la mia storia parla per me, ma il nostro calcio deve dimostrare più orgoglio». La confusione è suprema, il messaggio è pericoloso e, ci scusi o non ci scusi Sacchi, evidentemente razzista.
Primo, il fatto che anche nelle squadre primavera ci siano molti ragazzi stranieri non è una novità. Le squadre della serie A acquistano talenti all’estero all’età di 15-16 anni, spesso anche prima, e li piazzano nelle squadre giovanili. Per esempio l’Udinese primavera su 25 giocatori in rosa ne conta 13, provenienti da paesi quali Croazia, Slovenia, Bulgaria, Polonia, Austria. Detto questo, cosa c’entrano i “giocatori di colore”? L’associazione stranieri=neri è di una bassezza culturale incredibile nel 2014, in un paese europeo d’immigrazione, soprattutto da parte di una figura pubblica di questo livello. Ed è un’associazione palesemente razzista.
Se Sacchi, dovendo occuparsi di calcio giocato per gran parte della sua vita professionale, non ha avuto tempo di guardarsi attorno, forse qualcuno potrebbe rammentargli che gli stranieri non sono tutti neri. In ogni caso, se così fosse, che ci sarebbe di male?
C’è un altro problema sollevato dalle dichiarazioni di Sacchi. Quanti dei giocatori “stranieri” delle squadre primavera sono ragazzi di origine immigrata nati o cresciuti in Italia? Seguendo la visione alterata di Sacchi un ragazzo nero italiano è equiparato a uno straniero. Quindi Angelo Ogbonna o Stefano Okaka, entrambi italiani di origine immigrata nati in Italia e giocatori della stessa nazionale un tempo allenata dal sior Arrigo, sarebbero più stranieri di un ragazzo di 18 anni arrivato un anno fa dalla Bulgaria. In Bulgaria vivono, tendenzialmente, persone di pelle più chiara e quindi, secondo Arrigo, meno straniere. È un ragionamento che non meriterebbe di essere commentato se venisse da un anonimo pensionato alla fermata dell’autobus, ma se a farlo è un personaggio di questa “caratura” non può venire ignorato.
Il calcio può essere un veicolo di inclusione sociale e di positiva socializzazione. Ad alti livelli, il calcio offre anche opportunità speciali di rappresentazione e ridefinizione del tessuto sociale e delle sua diversità. Il fatto che ci sia un ragazzo di origine immigrata nella nazionale, specialmente se “di colore”, produce un immediato effetto di riconoscimento, di appartenenza, nei giovani di origine immigrata. È qualcosa di intuitivo, e par grave che Sacchi, avendo anche coordinato le nazionali giovanili, non riesca a coglierlo. Ma quest’uomo va comunque ringraziato per aver maldestramente sollevato un velo che cela, ma neanche tanto, la mentalità dominante nel calcio e nella società.
Quanti sono i ragazzi di origine immigrata che giocano nelle squadre primavera della serie A? Non più di una ventina. Venti su 500 che compongono le rose delle venti squadre primavera, nemmeno il 5 per cento. Quanti di questi sono “seconde generazioni”, cioè nati in Italia da genitori immigrati? Sette, poco più dell’un per cento (dati preliminari della mia ricerca sui giovani di origine immigrata nel calcio italiano).
Forse Sacchi invece di prendersela coi giovani giocatori stranieri, e in particolare con quelli di colore, dovrebbe chiedersi come fare per rendere il calcio italiano un sistema più inclusivo. Se poi vuole attaccare qualcuno se la prenda con i colpevoli e i primi beneficiari di quel mercato della carni che è il calcio moderno, e in particolare quello italiano, cioè i dirigenti della società professionistiche. Li conosce di persona, perché non si rivolge a loro? Si chieda, Sacchi, che effetto possono produrre le sue dichiarazioni nell’uomo della strada, nel tifoso cocainomane, nel pensionato depresso o nella mamma tatuata che nuota permanentemente su Facebook. Cosa penseranno dei neri nel calcio e dei neri nella società?
Aggiornamento: l’episodio nella rassegna del 18 febbraio 2015.
«Sacchi, un caso nazionale», Il Messaggero
«Quei giovani calciatori non mangiano banane», La Sicilia
«Troppi giovani di colore. Accuse all’Italia razzista per lo scivolone di Sacchi», La Repubblica
«Non è un calcio razzista ma solo ignorante», Cronache del Garantista
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