Calcio e ius soli. Passi avanti verso la cittadinanza sportiva
A febbraio è stata la volta delle dichiarazioni di Arrigo Sacchi. Dopo aver assistito al torneo di Viareggio, che raccoglie le migliori squadre primavera, dichiarò: «L’Italia è senza dignità, non ha orgoglio: non è possibile vedere squadre con 15 giocatori stranieri. A guardare il Torneo di Viareggio mi viene da dire che nel nostro vivaio ci sono troppi giocatori di colore, anche nelle squadre primavera. Non sono certo razzista, la mia storia parla per me, ma il nostro calcio deve dimostrare più orgoglio».
Ieri un altro allenatore ed ex giocatore di calcio, Roberto Mancini, si è espresso sulle convocazioni del commissario tecnico della Nazionale Conte dicendo: «Io so che la nazionale italiana deve essere italiana. Magari ci troviamo in nazionale un giocatore che non è italiano, ma che ha solo dei parenti qui. Ma questa è solo la mia opinione».
Tra i sociologi si discute spesso se il calcio in Italia sia o meno lo specchio fedele della società, potente ed espressiva metafora che ne svela, meglio di quanto non farebbe qualunque indagine scientifica, i movimenti e le dinamiche collettive.
Alessandro Campi, direttore del trimestrale «Rivista di politica» all’indomani dell’eliminazione della nostra nazionale dai mondiali brasiliani, aveva ammonito i vari commentatori dal rischio di una sociologia da bar sport sul calcio e le sue sorti.
Certo è che, sia sul fronte del linguaggio pubblico sull’immigrazione che su quello della normativa in materia di cittadinanza, il calcio riesce a conquistare una visibilità mediatica e ad alimentare un dibattito popolare che altri ambiti, come quello politico, faticano a introdurre nel discorso pubblico.
Le affermazioni degli allenatori che reclamano un maggior “orgoglio nazionale” fanno emergere tutte le contraddizioni dell’attuale legge sulla cittadinanza: un giocatore come il neo convocato per la nazionale Eder Citadin Martins si è naturalizzato perché il bisnonno, di nome Battista Righetto, viveva in provincia di Vicenza. L’altro convocato, Franco Damian Vazquez, ha il doppio passaporto in quanto la madre è originaria di Padova.
Nel linguaggio popolar-calcistico si è quindi pensato bene di ripescare una terminologia da figurine Panini come quella di “oriundi”, la cui storia ed etimologia è spiegata magistralmente da Stefano Bartezzaghi su La Repubblica di oggi (per leggere l’articolo di Bartezzaghi cliccare qui).
Sì, perché a chi fa notare a Mancini che la Germania ha vinto l’ultimo Mondiale anche grazie ai cosiddetti “oriundi” l’allenatore replica: «Ma i loro giocatori sono nati in Germania. Io penso che un giocatore italiano meriti di giocare in Nazionale, mentre chi non è nato in Italia, anche se ha dei parenti, credo non lo meriti. Se le regole sono queste Conte fa bene ad applicarle, ma io resto della mia opinione».
Una netta dichiarazione a favore dello ius soli e della concessione delle cittadinanza a tutti quei ragazzi e possibili futuri giocatori della nazionale che, a prescindere dal “colore” indicato da Sacchi, sono nati in Italia e aspirano come molti coetanei a una legge che dia loro pari opportunità anche nel campo dello sport.
D’altronde tutti gli ultimi sondaggi e ricerche dicono che la percentuale di italiani favorevoli alla concessione della cittadinanza ai figli di immigrati sono la stragrande maggioranza. Il 72%, secondo il recente rapporto sulla sicurezza in Europa a cura di Demos e Osservatorio di Pavia.
Intanto il disegno di legge sulla cittadinanza sportiva ai minori stranieri ha cominciato il suo iter parlamentare proprio oggi (il testo qui) con l’appoggio del Governo, espresso in un tweet di Graziano Delrio:
condivisione piena del governo per proposta di legge su #cittadinanza sportiva a minori stranieri in Italia entro i 10 anni @Montecitorio
— Graziano Delrio (@graziano_delrio) 23 Marzo 2015
Un primo passo in attesa di una riforma complessiva sulla cittadinanza.
Anna Meli