Di Ejaz Ahmad, per Stranieri in Italia
Non solo in Germania e Francia, ma anche in Italia il vento della xenofobia e islamofobia sta dilagando dal nord al sud. Ne dà conferma quanto avvenuto lo scorso 8 gennaio a Desenzano del Garda.
Circa una trentina d’operai della ditta Penny Market si sono riuniti pacificamente di fronte al supermercato per protestare contro i livelli salariali considerati troppo bassi. Quando la polizia è intervenuta per far smobilitare l’assembramento gli operai italiani, immigrati e pakistani hanno iniziato a gridare diversi slogan. Purtroppo tutti i giornali e le agenzie ne hanno riportato uno solo, “Allah Akbar” (Allah è Grande), tralasciando in questo modo il vero motivo della protesta, la dignità del lavoro in Italia e preferendo a questa una frase ricollegabile genericamente al jihad.
La questione riportata è totalmente trasfigurata rispetto ai fatti. Ho ascoltato tutti i loro slogan e mi sento in dovere di tradurre e spiegare non solo ai giornalisti “professionisti”, ma anche a coloro che hanno scritto veri e propri articoli e discorsi usando le parole specifiche “Allah Akbar” con lo scopo evidente di colpevolizzare una religione in un momento nel quale la sua percezione è già trasfigurata o negativa.
Nel filmato (disponibile qui) si può vedere che all’inizio gli operai davanti alla polizia gridano in italiano «libertà, libertà, libertà» e dopo «sciopero, sciopero». Quando le forze dell’ordine passano all’azione, i lavoratori pakistani, che non parlano bene italiano, nel mezzo di una fase più concitata dello scontro iniziano a esprimersi nella loro lingua madre: l’urdu. È naturale che l’alto tasso emotivo, un senso generale di rabbia e ingiustizia, abbiano fatto esplodere il bisogno di esprimersi nella propria lingua.
In questa fase concitata, quindi, gli operai italiani utilizzano termini come “porca putt*” e “ca*”, ma i pakistani, che non sono avvezzi alla libertà di sciopero e ancor di meno all’utilizzo di parole volgari e a inveire contro le istituzioni, sono portati a utilizzare slogan popolari nel proprio paese.
In quali termini si può parlare di libertà con un pakistano o un cinese, considerato che non si confrontano quotidianamente con questo concetto provenendo da regimi dittatoriali?
È corretto sottolineare, da giornalista, che gli slogan evocati fanno parte del lessico corrente pakistano in casi di confronto o discorsi , ma che non hanno alcuna connessione con questioni religiose e ancor più con l’Islam “arabo” o il jihad.
Il primo dice «Nara Takbeer» (grido di dio) e il gruppo risponde «Allah Akbar» (Allah è Grande). Il secondo «Nara Rasalat» (grido del profeta) e la replica è «Ya Rasool Allah» (Muhammad è il profeta d’Allah). L’ultimo è «Nara Heideri» (il grido del leone), al quale il gruppo ribatte con «Ya Ali» (O Ali “il quarto Califfo”)
Risulta evidente che per immediatezza e superficialità “Allah Akbar” è ormai entrato nel lessico comune giornalistico essendo anche di facile comprensione per il pubblico medio.
Quello che non è noto al pubblico medio è che molti nostri termini provengono dall’arabo dimostrando un legame materiale fra le due culture. Come per esempio Marsala (porto d’Allah), sorbetto (la bevanda), assassino (dai ragazzi di hassan o hashishi), divano (parlamento) e 1-2-3 (numeri arabi); ci sono migliaia di parole così, in pratica cancellando le parole del mondo islamico ci sarebbe bisogno di costruire una nuova lingua.
Dopo i fatti di Colonia in Italia un pakistano a Firenze è stato accusato di molestare una ragazza, è stato arrestato e così anche a Matierno, una località in provincia di Salerno, un pakistano è stato accusato di “aggredire” una minorenne con i suoi “sguardi ambigui”. I cittadini del paese infervorati dai fatti di Colonia hanno aggredito il centro d’accoglienza della zona.
In questi due casi l’Islam non c’entra niente, ma l’assenza di una corretta informazione, il pregiudizio sono evidenti esempi di quanto sia in discussione il processo di integrazione nel nostro Paese.
Risulta infine preoccupante osservare come un gruppo di neonazisti di Colonia, dopo quanto successo a Capodanno, hanno picchiato sei pakistani e un siriano per il solo fatto di presupporre la fede religiosa: siamo alle porte di una nuova caccia al diverso.
Ejaz Ahmad Giornalista e mediatore culturale
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