La Carta di Roma effettua un’attività di monitoraggio attraverso l’esame di una rassegna stampa quotidiana che prende in esame per adesso solo i principali quotidiani nazionali e locali e attraverso le segnalazioni di cittadini, organi d’informazione e associazioni. Il vostro intervento è dunque per noi una segnalazione e l’abbiamo pubblicato sul nostro sito.
Dal nostro punto di vista di tratta di valutare se i giornalisti che conducono Mission abbiano violato la Carta di Roma. La norma che citate è una norma deontologica che ha lo scopo di tutelare i rifugiati e i richiedenti asilo. Può succedere che pubblicarne l’immagine o anche solo il nome, li esponga, ed esponga i loro familiari, a ritorsioni da parte dei paesi dai quali sono fuggiti. Un caso tipico è quello dei rifugiati eritrei.
La parte della norma deontologica che avete evidenziato è correlata alla prima. Può infatti succedere che un richiedente asilo, per esempio subito dopo lo sbarco, non esiti a esporsi, a farsi fotografare, dare il proprio nome. Perché viene da un paese nel quale, appunto, “il ruolo dei mezzi di informazione è limitato e circoscritto”. E non ha gli strumenti di conoscenza per valutare che il suo nome, la sua immagine, in pochissimo tempo saranno a disposizione di chiunque. Anche dei servizi segreti del paese dal quale è fuggito.
Dunque, se quella trasmissione ha esposto qualcuno degli intervistati al rischio che si diceva, c’è stata senz’altro una violazione della Carta di Roma. Se, invece, le persone che sono apparse nella trasmissione non si trovano in quella condizione di pericolo potenziale, la violazione non c’è stata. La Carta di Roma, infatti, non stabilisce un divieto assoluto di intervistare e di mostrare l’immagine di rifugiati o di richiedenti asilo. Divieto che, d’altra parte, sarebbe assurdo e inapplicabile. Basti pensare ai leader politici in esilio i quali si espongono deliberatamente e sistematicamente
Rispetto ai giornalisti che conducono la trasmissione, sarebbe molto difficile, anche se l’incidente si fosse verificato, ipotizzare una violazione. Infatti, come un giornalista che incontra un rifugiato o un richiedente asilo stabilisce se il suo interlocutore è nelle condizioni di rivelare il proprio nome e di mostrare il proprio volto senza correre pericolo per sè o per i propri familiari? Si affida all’esperienza, certo, ma soprattutto alla valutazione delle associazioni che hanno lo scopo istituzionale di tutelare i rifugiati. Nel caso in questione, i giornalisti hanno operato assieme all’Unhcr. E il solo fatto che l’Unhcr abbia condiviso e sostenuto la realizzazione di quel servizio è stato, per i giornalisti, una garanzia. D’altra parte non abbiamo motivo di dubitare che l’Unhcr abbia vigilato sulla sicurezza dei rifugiati che compaiono nella trasmissione.
Di certo, fino a ora, non risulta che qualcuna delle persone che appaiono nel servizio sia stata esposta a un pericolo. Quindi il nostro intervento si ferma qua, in attesa di elementi ulteriori. A meno che quella trasmissione non abbia violato altri principi della carta di Roma. Cioé non abbia dato un’immagine deformata degli immigrati, dei rifugiati, alimentando stereotipi e pregiudizi. Ma di questo aspetto non fate menzione.
La nostra impressione è che “Mission” abbia aperto un dibattito sul modo di affrontare il problema dei rifugiati. E anche sul modo di fare televisione con modalità discutibili, che in noi suscitano parecchie perplessità. Ma siamo su un altro piano, diverso da quello di competenza della Carta di Roma. Che è un codice deontologico, non stilistico o estetico.
Giovanni Maria Bellu – Presidente Associazione Carta di Roma
Pietro Suber – Vice Presidente Associazione Carta di Roma e delegato CNOG
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