di Alessia Guerrieri su Avvenire.it
Hanno gli occhi stanchi dal viaggio notturno. Ma la gioia di essere arrivati in un Paese dove poter costruire e programmare il loro futuro sovrasta qualsiasi spossatezza. Adbu Raman, Adam, i sei piccoli fratellini che con i loro genitori dovevano arrivare mesi fa in Italia e sono stati bloccati da problemi burocratici oggi sono contenti perché «questa volta sono finalmente sulla lista di chi parte». Sono in tutto 45, e hanno passato molti mesi in Niger che li ha accolti dopo aver vissuto torture e detenzione in Libia, i rifugiati arrivati questa mattina all’aeroporto di Fiumicino grazie ai corridoi umanitari organizzati da Caritas italiana, su mandato della Conferenza episcopale italiana, frutto dell’accordo tra la Chiesa italiana e il governo per portare in sicurezza e in maniera legale richiedenti asilo nel nostro Paese.
Saranno accolti nelle diocesi italiane (Bolzano, Rimini, Teggiano-Policastro, Assisi, Roma, Crema, Matera) e da qui inizierà il loro percorso di integrazione nella comunità. Alcuni di loro sono laureati, altri hanno diplomi specializzati di meccanico ed elettricista ma non si precludono nessun nuovo mestiere da imparare, altri ancora sono muratori o atleti. I genitori, invece, vorrebbero solo far studiare i propri figli, perché «la scuola e la formazione ha il potere di cambiare le culture».
«È tempo – sottolinea don Francesco Soddu, direttore della Caritas Italiana – di un autentico cambio di strategia e di cultura. Il tema dei flussi migratori non può essere più affrontato in un’ottica emergenziale o limitata all’Europa e al Mediterraneo, ma va inserito in un quadro più ampio. È indispensabile che l’Europa promuova una gestione e una regolazione dei canali d’ingresso che tenga conto di un approccio integrato, con al centro la pace e la protezione delle persone nella grande regione che comprende Mediterraneo e Sahel, assieme alla lotta, alla povertà e alle enormi disuguaglianze»
Sono partiti dal Sudan, dal Camerun, dall’Etiopia, dall’Eritrea. Hanno camminato settimane nel deserto vedendo compagni di viaggio non farcela. Alcuni hanno persino tentato la traversata del Mediterraneo sulle carrette del mare venendo fermati dalla guardia costiera libica e spediti nei campi profughi di quel Paese. Poi grazie al progetto Etm (Transito di emergenza) dell’Unhcr sono arrivati in Niger, il Paese più povero dell’Africa che comunque li ha accolti, nell’attesa di poter essere ospitati da uno Stato europeo.
«Oggi la gioia è doppia per tutti – spiega il responsabile per le politiche migratorie di Caritas italiana Oliviero Forti – perché in questi mesi di pandemia, dove tutto si è rallentato, si sono sentiti beffati dalle lentezze delle procedure. Ora però possiamo dare un futuro migliore a tutti loro». A stupire sempre i rifugiati è quando gli si chiede come si sentono e «chi sei, cosa ti piace fare», grati per un’attenzione che sembra tanto naturale.
«Sono persone che non sono abituati ad avere una prospettiva di futuro, ad essere protagonisti della loro vita e a ragionare in maniera diversa dal presente – racconta poi Lucia Forlino, referente area internazionale per i corridoi umanitari dell’Ufficio politiche migratorie di Caritas italiana, che con i 45 rifugiati ha viaggiato in aereo – da oggi nelle comunità che li accoglieranno impareranno a vivere in maniera proattiva la loro giornata. E a costruirsi un domani pieno di opportunità».
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