«”Dublinanti”, li chiamano, con un neologismo italiano. “Dubliners”, in inglese. «Gente del Regolamento di Dublino», profughi che hanno attraversato l’Italia, in qualche caso (spesso) si sono rifatti una vita in Francia, in Olanda, in Svezia, e poi sono finiti impigliati nella rete Eurodac, la banca dati delle impronte digitali: rispediti indietro. Verso il primo Paese europeo dove sono approdati, e sono stati identificati, nella loro rotta di emigrazione. In molti casi queste persone vengono rimandate in Italia, proprio perché è qui che sono arrivate via mare, o via terra, e qui – impone il regolamento dovrebbero presentare richiesta di protezione internazionale e attendere l’esito della domanda. Da ogni parte d’Europa i “dublinanti” vengono inviati a Fiumicino, più spesso atterrano all’aeroporto di Malpensa».
Nella moltitudine di notizie sugli arrivi via mare dei richiedenti asilo e sul dibattito politico da questi innescato, si perdono spesso alcune tessere del mosaico. Cosa accade a coloro le cui impronte digitali sono state prese in Italia, se una volta che riescono a raggiungere un altro paese europeo vengono individuati dalle forze dell’ordine?
«[…] Solo nel mese di gennaio 2015 – leggiamo su La Stampa – ne sono stati rispediti indietro 1o1: 1o siriani, 1o eritrei, 1o nigeriani, 9 con passaporto del Gambia, 9 del Marocco. La media è questa: più di tre al giorno, confermata dai dati degli anni precedenti (1.040 nel 2014), e destinata a salire».
Per un maggiore approfondimento su questo tema, consigliamo la lettura dell’articolo di Alessandra Coppola e Gianni Santucci, «Il popolo dei “Dublinanti”. In arrivo migliaia di profughi», pubblicato oggi sul Corriere della Sera.
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