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Ci aiutano a casa nostra (che è anche la loro). Non dimentichiamolo

Editoriale di Cristina Giudici su Nuove Radici.world

Ci aiutano a casa nostra, non dimentichiamolo. Fra le cose che forse non finiranno archiviate nelle remote stanze della nostra mente, una volta finita la quarantena, ci sarà il sentimento della riconoscenza. Non solo per medici e operatori sanitari costretti a turni massacranti per salvare i malati, ma anche per quelli che hanno dato la disponibilità a venire in Italia da Paesi dove, prima del Coronavirus, tanti volevano rimandare migranti e cittadini di origine straniera.

Mi ha colpito positivamente come è stata accolta la notizia di un gruppo di medici somali che si sono offerti di venire in Lombardia, messa in ginocchio dal virus. Postata sul mio profilo di Facebook, non ha attirato l’ira funesta degli hater, anzi.

Al contrario è stata condivisa da numerose persone che in questo momento non guardano al colore della pelle, ma alla generosità di chi si vuole prodigare per il prossimo. E ancora di più mi hanno colpito le testimonianze dei cittadini di origini straniere che hanno raccontato come tengono duro nell’Italia che fino a poco tempo fa, un tempo che sembra ormai passato remoto, erano considerati dalla maggior parte della popolazione (non tutta per fortuna) un capro espiatorio per le frustrazioni personali e collettive. Altrimenti non si spiega perché la riflessione accorata di Idrissa Idris Kane sia diventata virale.

«Quante volte ho sentito, abbiamo sentito in questi ultimi anni dire torna al tuo Paese, l’Italia agli italiani, non esistono neri italiani, portate malattie», dice lui che mette la mascherina dal lunedì al venerdì per andare a lavorare in un’azienda del settore alimentare e farmaceutico.

E nel suo lungo post intitolato “Sulla stessa barca” ha scritto «Giuro che mi è capitato di voler mollare tutto e andarmene (e sono sicuro che tanti come me hanno pensato la stessa cosa). Ma poi mi sono detto: perché dovrei ascoltare il delirio di qualche idiota? Oggi abbiamo le stesse paure, gli stessi timori. Parenti che ti scrivono preoccupati, pensieri tipo rivedrò la mia famiglia, riabbraccerò i miei cari? Ogni mattina, rilevazione della temperatura, mascherina quasi per tutto il giorno, regole comportamentali che cambiano ogni due secondi ma non ho mai pensato di mollare. Non mollo perché l’Italia non è anche mia solo quando mi fa comodo, solo quando posso andare a lavorare senza preoccupazioni, uscire a fare shopping, la spesa, vagare senza pensieri».

Il ragionamento di Idrissa è logico, anche se fino a tre settimane fa sarebbe stato oggetto di nevrotiche polemiche. E aggiunge: «L’Italia è anche mia, anche quando rischia di crollare. Come ho sempre detto in questi anni, questo Paese è anche nostro perché qui tanti hanno trovato lavoro, famiglia, persone speciali e hanno avuto opportunità di ricominciare. Se la casa Italia brucia, tutti insieme tenteremo di spegnere il fuoco, se la barca Italia rischia di affondare, o ci salviamo tutti insieme o affondiamo tutti insieme».

«Questo maledetto virus sarà sconfitto, porterà via tanti cari ma sarà sconfitto. Dopo mi auguro che ci vorremo bene più del normale, non ci soffermeremo più sulla pigmentazione, ma sui valori che fanno di noi degli esseri umani». La sua riflessione, che ha avuto tantissime visualizzazioni mi ha confortato.

Così come mi ha confortato vedere la bufala sui migranti che non si ammalano di Covid-19 sparire velocemente dal vortice dei social. Domani potrete leggere una nostra inchiesta su questo argomento, ma spoileriamo la conclusione: si ammalano, ma meno e non per ragioni “etniche”. Si ammalano meno semplicemente perché sono più giovani e anche perché gli ammalati non vengono catalogati per nazionalità.

Certo, qualche brutto esempio di giornalismo nostrano ha provato a soffiare un po’ di fuoco sulla rabbia delle persone che, dopo l’iniziale stordimento, ora stanno reagendo con una prevedibile incazzatura. Osservo, però, una novità significativa: i tentativi di cercare di nuovo un nemico comune per ora non sortiscono un grande effetto.

La paura ci rende tutti uguali? O il giustizialismo, il complottismo, le catene di Sant’Antonio con fake news e l’isterico appello #fategirare che ingolfano di stupidità i nostri profili social o messaggi su WhatsApp vengono ignorati perché siamo troppo impegnati a sopravvivere, a convivere in coda per fare la spesa e a riuscire a distinguere le domeniche dai lunedì?

Nessun può sapere cosa accadrà il giorno in cui troveremo il coraggio di tornare ad abbracciarci, senza diffidenza, fuori dagli schermi delle comunicazioni virtuali. Mi auguro che quel giorno sapremo ringraziare tutti, nuovi italiani compresi, che non ci hanno mollato nelle difficoltà e ci hanno aiutato a casa nostra, nella casa comune che è anche la loro. Non dimentichiamolo.

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