A cura di Centro studi e ricerche Idos
«La parola d’ordine di questo 2020 è “distanziamento sociale”: un’espressione tanto infelice, nella misura in cui mette in discussione il senso stesso di comunità all’interno del Paese, quanto tuttavia “sintomatica” di una mentalità e un clima culturale che hanno preso piede e si sono diffusi molto prima della pandemia. La raccomandazione, se riferita agli immigrati che vivono con noi in Italia, non ha avuto e non ha difficoltà a venire osservata, perché si innesta su un atteggiamento già abbondantemente radicato: con gli stranieri è bene mantenere le distanze e soprattutto tenerli a distanza». È la denuncia di Luca Di Sciullo, coordinatore del Dossier statistico immigrazione e presidente del Centro studi e ricerche Idos, che questa mattina ha presentato il nuovo Rapporto, giunto all’edizione numero 30 e realizzato da Idos in partenariato con il Centro studi Confronti.
«L’integrazione è sparita dall’agenda politica, italiana ed europea, da almeno una dozzina d’anni. Ed è incredibile che un fenomeno strutturale ed epocale come le migrazioni in Italia sia ancora gestito da un impianto normativo vecchio di 22 anni, quando l’immigrazione aveva caratteristiche qualitative e quantitative completamente differenti da quelle di oggi – ha proseguito Di Sciullo –. La mancanza ultradecennale di programmazione degli ingressi per lavoro, congiunta all’abolizione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari stabilita dal Decreto “sicurezza” del 2018, e alla politica dei porti chiusi e dei respingimenti, ha concorso in maniera strutturale a produrre irregolarità tra gli immigrati: contribuendo a svuotare i centri di accoglienza, i cui ospiti sono scesi da 183.700 nel 2017 a 84.400 a fine giugno 2020, per una fuoriuscita netta di quasi 100.000 migranti in appena due anni e mezzo. La maggior parte erano richiedenti asilo e titolari di protezione umanitaria che, espulsi dai centri, si sono dispersi sul territorio (spesso si tratta di famiglie con figli piccoli o neonati), sono di lì a poco diventati irregolari, sia per le più ridotte possibilità di accedere a una forma di protezione sia per l’impossibilità di rinnovare quella umanitaria». Nel 2019, ha aggiunto, «i non comunitari regolari sono diminuiti, e anche in misura consistente, in corrispondenza di un probabile aumento del numero degli irregolari (i quali, già stimati in 562.000 a fine 2018, avrebbero sfiorato le 700.000 unità a fine 2020, se non fosse intervenuta la regolarizzazione della scorsa estate, che ha raccolto 220.500 domande».
Inoltre, ha osservato Di Sciullo, «è incredibile che, in un Paese di immigrazione da quasi 50 anni, in cui 3 non comunitari su 5 hanno ormai maturato un titolo di soggiorno di durata illimitata (e, tra i restanti, l’80% soggiorna per un motivo che sottintende comunque un insediamento stabile); in cui i matrimoni misti sono arrivati a rappresentare ben il 12% del totale, più di 1 neonato ogni 7 ha genitori stranieri, 3 alunni stranieri su 5 sono nati in Italia e che conta oltre 1,3 milioni di minorenni con un background migratorio, contiamo ancora oltre 800 mila nati in Italia che qui vivono, studiano, lavorano, prendono casa, costituiscono una famiglia e tuttavia non hanno la cittadinanza italiana. Per una legge antiquata che risale a ben 28 anni fa, che nessun governo, di destra e di sinistra, ha mai voluto riformare, nonostante le numerose campagne e i tantissimi disegni di legge depositati allo scopo in Parlamento», ha concluso Di Sciullo.
«Anche i libici muoiono in mare: un bambino ha visto morire la sua mamma, solo nell’ultima settimana. Questo film dell’orrore è iniziato molto tempo fa» rimasta di base in Libia dall’inizio del 2013 fino al termine del 2015. «Il mio pane quotidiano erano le prigioni libiche: ho potuto toccare con mano il tentativo del popolo libico di costruire un Paese da zero, senza politica e senza esercito. Il business sul trasporto dei migranti è andato in mano a criminali con cui l’Europa è scesa a compromessi. Dall’inizio del 2017 abbiamo assistito a un incremento sostanziale delle operazioni di intercettazione in mare da parte della Guardia costiera libica: dal 2% al 55%. Ed è aumentato notevolmente il tasso di mortalità dei migranti, dal 2% annuo tra il 2016 e il 2017 a oltre il 6% negli anni successivi», ha denunciato Nancy Porsia, giornalista freelance e autrice di un capitolo del Dossier statistico immigrazione.
«Il Covid è stato la rappresentazione di disuguglianze stratificate nel tempo ma anche una torsione ulteriore dei diritti dei migranti», ha osservato Marco Omizzolo, sociologo ricercatore di Eurispes, esperto di immigrazione e autore di un capitolo del Dossier sullo sfruttamento degli stranieri in agricoltura. «Durante la pandemia si è registrato un aumento del 15-20% dei migranti e delle migranti sfruttati nelle nostre campagne, circa 40-45 mila persone che hanno visto non solo una contrazione della loro retribuzione oraria, da 4,50 a 3 euro. Inoltre sono aumentate le ore di lavoro (tra 8 e 15 ore giornaliere, molte delle quali non registrate) e abbiamo registrato decine di nuovi infortuni, senza che i braccianti migranti venissero forniti di dispositivi di protezione sanitaria». Nel Pontino «16 lavoratori indiani hanno deciso di togliersi la vita per le gravi condizioni di sfruttamento. Fino a quando avremo i ghetti, diffusi in tutta Italia, non potremo definirci civili, democratici e avanzati».
«L’immigrazione per tanto tempo è stata un’ossessione, ma non una narrazione», ha notato Igiaba Scego, scrittrice dal 2003 (il suo ultimo romanzo s’intitola La linea del colore, edito da Bompiani). «Negli anni Duemila dovevamo cambiare passo, invece abbiamo assistito a una serrata, a passi indietro e non in avanti. Io lavoro sull’immaginario di questo Paese e quello sui migranti è devastante: non c’è mai una presa di coscienza che queste persone fanno parte del tessuto nazionale, anzi sono marginalizzate nella loro essenza. E la narrazione è bloccata anche sui temi: non sappiamo quasi nulla degli oltre 200 Paesi da cui provengono i migranti che ormai fanno parte del tessuto nazionale. Perché non allargare le maglie della narrazione anche alle fiction televisive, per esempio?». Scebo ha riferito: «Tanti figli di migranti se ne vanno dall’Italia, dopo tante umiliazioni, quando potrebbero essere una risorsa e dovremmo valorizzarli. Anche nell’emergenza Covid mi sento esclusa: io, figlia di migranti somali, sono invisibile».
«Il Dossier riporta dati concreti e credibile, dando un’informazione completamente diversa da quella che si sente, spesso mossa da demagogia e luoghi comuni», ha concluso monsignor Pierpaolo Felicolo, direttore dell’Ufficio Migrantes della diocesi di Roma e del Lazio, citando la recente enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco. «Da 30 anni il Dossier è la stella polare sull’immigrazione nel nostro Paese», ha evidenziato Claudio Paravati, direttore del Centro studi Confronti, che ha moderato i lavori con Ginevra Demaio, del Centro studi e ricerche Idos. «Celebriamo e ringraziamo per il servizio che da 30 anni il Dossier rende alla società», ha rilevato Marco Fornerone, Pastore della Chiesa Valdese di Roma. Proprio l’8 per mille della Chiesa Valdese finanzia da 5 anni la realizzazione del Dossier.
Scarica la cartella stampaQui il video di presentazione del Dossier
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