Quali sono le caratteristiche dell’hate speech, come si propaga e soprattutto quali sono le strade che il mondo dell’informazione, quello delle organizzazioni e della società civile può percorrere per contrastarlo? Questi sono stati alcuni dei quesiti affrontati nell’incontro organizzato dall’Assocazione Carta di Roma con il sostegno dell’Ufficio Nazionale anti-Discriminazioni razziali (UNAR) e moderato da Valerio Cataldi (Presidente dell’Associazione Carta di Roma) e Paola Barretta (Coordinatrice dell’Associazione Carta di Roma).
Ed è il Direttore dell’UNAR, Triantafillos Loukarelis, ad aprire i lavori della giornata sottolineando come ieri fosse stato audito dalla Commissione Segre «abbiamo iniziato i lavori parlando proprio di discorso d’odio e i componenti della Commissione hanno dimostrato un grande interesse verso le principali attività del progetto europeo REASON. Questo è di ottimo auspicio, vuol dire che c’è una possibilità ed una volontà di costruire un lavoro comune con la commissione Segre, la quale si è già impegnata a lavorare ad una definizione chiara ed univoca di hate speech».Ed è proprio dall’effetto che l’hate speech genera sulla società che bisogna partire per comprendere la portata del fenomeno. Come evidenzia Ada Ugo Abara, attivista e Presidentessa di Arising Africans, occorre comprendere e raccontare le discriminazioni che avvengono quotidianamente nella società, che diamo quasi per scontate: «pensiamo all’uso stesso della parola migrante o immigrato, riferita a persone che vivono, e lavorano in Italia da anni ma che sono comunque definiti nella loro alterità». La “ghettizzazione” delle voci straniere nell’informazione è una questione aperta, evidenzia Mehret Tewolde (Le Reseau), «mancano la normalità, e la quotidianità», con l’effetto di un’appartenenza a metà.
Cruciale a questo proposito il ruolo dei media sotto profilo deontologico e della qualità dei contenuti. Sotto il profilo deontologico, come ha sottolineato il Presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Giuseppe Giulietti, «chi ricompone il rapporto tra parole e le cose è nel mirino. Negli ultimi due anni aumento minacce in particolare contro cronisti/e che si occupano di ONG, di differenze, delle vittime e del linguaggio d’odio. Solo applicando le leggi ordinarie e la carta dei doveri si può contrastare il discorso d’odio». Carlo Bartoli, Paola Spadari e Rossella Matarrese, rispettivamente Presidenti degli Ordini Regionali dei Giornalisti della Toscana e del Lazio e Responsabile della Formazione dell’Ordini Regionale dei Giornalisti della Puglia, evidenziano l’importanza delle formazioni, delle azioni nelle redazioni e di una rapidità delle sanzioni, soprattutto nell’online. Ed è proprio nella dimensione pubblica online che si gioca il ruolo del giornalista, punto di riferimento per le persone e dunque responsabile dei contenuti veicolati.
Dal punto di vista della qualità della comunicazione si pongono alcune sfide che dovrebbero essere raccolte da chi fa informazione in modo corretto. «Ragionare su stereotipi e pregiudizi, non far emergere la cosiddetta “Vox populi” come una fonte autorevole della notizia, evitare l’etnicizzazione della notizia, capire il profilo dell’odiatore» sono strumenti messi in atto dalla Rete di contrasto ai fenomeni e ai crimini di odio, come evidenziato dal coordinatore Federico Faloppa.
La questione del contrasto al discorso di odio richiama un aspetto politico: «Oggi la Commissione Segre – ci ricorda Milena Santerini – si propone di affrontare i fenomeni di odio a tutto tondo, in una logica intersezionale. Non siamo sicuri che sia aumentato in termini quantitativi, ma sappiamo che è più visibile e si contagia più facilmente».
Proprio sulla propagazione del discorso di odio e di quella zona grigia di discriminazioni e di pregiudizi che si gioca il ruolo del servizio pubblico. Roberto Natale sottolinea la necessità per la Rai di svolgere un ruolo culturalmente attivo nella promozione della inclusione e della cura quotidiana del motore della coesione sociale, unico antidoto alla benzina.
Paola Andrisani di Lunaria ribadisce la centralità delle voci e dei bersagli e l’importanza di raccogliere i casi e analizzare come agisce l’hate speech in rete sulla vita reale. Andrisani ribadisce come «rispetto a dieci anni fa durante il 2020 abbiamo osservato, durante i primi mesi, un incremento di una comunicazione aggressiva, mentre nella seconda parte dell’anno è tornata in maniera maggiore la retorica degli sbarchi, l’invasione e gli untori, un’azione molto forte contro l’accoglienza».
L’avvocato Eugenio Alfano di Asgi sottolinea l’importanza dello strumento della segnalazione tramite social, evidenziando come Facebook abbia aderito ad un codice di condotta «ad esempio, è stato possibile chiudere la pagina di Forza Nuova perché il giudice ha detto che si tratta di un rapporto tra privati e quindi Facebook ha avuto ha potuto cancellare la pagina perché quando ci si iscrive si accettano i vari termini e condizioni».
Giovanna Maiola condivide alcune riflessioni sul monitoraggio e le sfide legate all’hate speech «Il monitoraggio è necessario per identificare le fonti, i bersagli, i temi e i frame utilizzati, la legalità dei messaggi – e prosegue – i futuri modelli per controllare l’hate speech non dovrebbero considerare solamente il contenuto del messaggi, ecc. ma anche il contesto».
Sono quindi numerose le sfide future che si prospettano e che evidenziano il ruolo sempre più indispensabile di una rete di persone ed obiettivi comuni, per contrastare in maniera sinergica l’hate speech nelle sue diversificate e subdole forme.
Piera Francesca Mastantuono
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