«Può sembrare banale dirlo, ma non lo è affatto: il linguaggio giuridico è diverso da quello che usiamo tutti i giorni. Leggi, delibere e ordinanze devono – meglio: dovrebbero – essere scritte in un italiano chiaro, privo di ambiguità, con parole e frasi dal significato univoco (nei limiti del possibile, si intende): solo in questo modo si evitano interpretazioni contrastanti, che a loro volta possono dar spazio agli arbitri dei funzionari pubblici».
Eppure i documenti redatti dalle istituzioni pubbliche italiane spesso contengono contenuti discriminanti. È quanto accade, per esempio, in molti atti che fanno riferimento alla comunità rom.
Sergio Bontempelli riprende su Corriere delle Migrazioni i risultati dell’indagine condotta dalla Fondazione Michelucci di Firenze e del Centro Creaa dell’Università di Verona che hanno analizzato 702 documenti prodotti da istituzioni pubbliche nazionali e locali.
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